domenica, Settembre 8, 2024

Gianni Canova, una conversazione su 10 anni di Cinema Italiano

La capacità di raccontare il tempo e la storia, dando forma ad uno sguardo non banalmente appiattito sulla realtà, senza lanciare facili messaggi, ma anche senza offrire riconciliazioni a buon mercato, caratterizza molti dei film selezionati (da ‘Gomorra’, a ‘Vincere’ a ‘Il Divo’). I grandi film, come la letteratura, giocano e plasmano il tempo, come ha scritto anche nell’editoriale di Duellanti di ottobre, educano senza essere didascalici. Secondo lei, se il cinema è stato l’occhio del ‘900, ora ci troviamo di fronte ad una svolta culturale non più rimediabile o la presenza di film ancora capaci di uno sguardo diverso, critico e illuminante, può farci sperare che la tendenza si possa invertire? Il cinema è, o sarà, ancora pensabile come elemento catalizzatore di energie e idee o è destinato definitivamente a cedere il passo ad altri media (o al nulla delle trasmissioni televisive)?

Non me la sento di fare il profeta, ma stando ai segni che possiamo cogliere, ritengo che il cinema sia destinato ad essere, almeno ancora per un po’, un punto di riferimento imprescindibile. Forse non si tratta più dell’occhio di un tempo-spazio, come scriveva Francesco Casetti nel suo libro, ma di un occhio capace di negoziare un nuovo sistema di scambi all’interno del dispositivo dei new media. Il cinema è forse morto davvero come apparato novecentesco di semplice fruizione di film, ma può avere ancora un destino come elemento che riesce a riconfigurare scambi virtuosi fra gli altri media, che non possono fare a meno di esprimersi con la sintassi, se non con il lessico, del linguaggio cinematografico, avvalendosi di procedure che il cinema ha messo in campo. Il cinema e la sua dimensione narrativa rappresentano uno dei processi privilegiati di produzione di senso, attraverso la capacità di raccontare storie che non si propongono come interattive: a differenza della rete, che si offre come una madre accogliente, il cinema è un metodo di comunicazione paterno e autoritario, che impone di essere seguito. Qui sta la grandezza del cinema, che porta gli spettatori in luoghi dove da soli non sarebbero mai andati. Se io ho scoperto mondi è stato laddove ho visto film che non mi hanno consentito di interagire con loro, se non nella forma estrema in cui mi hanno talmente com-preso che mi hanno cambiato la vita. Altri mezzi più dolci e abbordabili ti fanno rimanere sempre dove già eri, mentre forse c’è ancora la voglia di esplorare degli altrove che solo il cinema può creare.

Negli anni ’80 su ‘Segnocinema’, lei scrisse un celebre articolo sulla fine di un certo modo di discutere di cinema (‘Le cineclub à mort’) e da allora non ha cessato di interrogarsi sul ruolo sociale della critica. Qual è diventato secondo lei il ruolo della critica oggi e quanto il critico dovrebbe avere l’intento di orientare e plasmare lo sguardo dello spettatore? Quale ruolo di promozione culturale dovrebbe svolgere nei confronti di film altrimenti dimenticati? E, secondo la sua percezione, qual è l’impatto effettivo della critica e dei festival in un mondo in cui i modelli culturali ed estetici sembrano essere ormai altri? Il critico ha secondo lei una responsabilità anche morale, oltre che estetica? Mi ha colpito quell’invito alla visione dei film, che rivolto ad un critico, suona come paradossale, ma rivela la cronica mancanza di un supporto iconico adeguato ,anche in chi scrive di cinema, e al contempo la riduzione della visione a qualcosa di superfluo.

La Prima Linea di Renato de MariaQui stai richiamando in causa un elemento che riguardava non solo i critici, ma il pubblico in generale. Nel nostro paese il cinema è sotto attacco, e non mi riferisco esclusivamente alla politica. Si sta cercando di fare passare l’idea che la visione sia ininfluente, che il cinema possa ridursi a gossip. Ciò che mi fa indignare non è tanto il dirigismo paleo-fascista di chi fa togliere dal cartellone teatrale ‘Orgia’ di Pasolini, ma piuttosto la presunzione di poter giudicare un film dalla trama, riducendo la visione a qualcosa di superfluo, mentre essa rappresenta l’atto fondativo a cui si dovrebbe per necessità ritornare. (continua a pagina 5…)

Sofia Bonicalzi
Sofia Bonicalzi
Sofia Bonicalzi è nata a Milano nel 1987. Laureatasi in filosofia nel 2009 è da sempre grande appassionata di cinema e di letteratura. Dal 2010, in seguito alla partecipazione a workshop e seminari, collabora con alcune testate on line.

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