venerdì, Novembre 22, 2024

Gianni e le donne di Gianni di Gregorio: la recensione

Rispetto alla resistibile ondata del cinema italiano d’intrattenimento, che oscilla fra aspiranti commedie sofisticate e farse di dubbio gusto, Gianni e le donne, il secondo film di Gianni Di Gregorio (una vita da sceneggiatore e aiuto regista, culminata nell’ormai storico artistico sodalizio con Matteo Garrone, da Estate Romana a Gomorra) rappresenta una felice eccezione. Con il suo nuovo film, Di Gregorio riannoda le fila del discorso cominciato con il precedente Pranzo di Ferragosto (2008), sorprendente esordio che, tra spunti autobiografici e note di tenerezza, raccontava la giornata particolare di un sessantenne alle prese con un gruppo di vecchiette fin troppo arzille. In Gianni e le donne Di Gregorio esplora con ironia il mondo di un uomo che si affaccia fiaccamente alla terza età, attraverso il rapporto impacciato, inconcludente e vagamente umiliante con le donne che lo circondano. Gianni, sguardo mite e animo infinitamente paziente, in prepensionamento ormai cronico, trascorre le sue giornate ciondolando al servizio di una moglie e di una figlia quasi sempre assenti (giusto il tempo di un caffè al mattino e di uno sguardo distratto la sera), destreggiandosi fra il pagamento delle bollette, le faccende domestiche e le passeggiate col cane. A completare l’idilliaco quadretto c’è naturalmente sua madre (l’impareggiabile Valeria De Franciscis, che torna a collaborare con Di Gregorio dopo il suo debutto cinematografico, a 93 anni, in Pranzo di Ferragosto), nobildonna decaduta che abita in una villa alle porte di Roma, ben decisa a dissipare allegramente tutto il restante patrimonio, tra bottiglie di champagne e aperitivi pantagruelici con le amiche. A svegliare, momentaneamente, Gianni dal torpore è l’amico Alfonso (Alfonso Santagata, l’amministratore di “Pranzo di Ferragosto”), avvocato che millanta una brillante carriera amorosa e lo invita a prendere al volo gli ultimi bagliori di giovinezza. Inizia così per Gianni, un po’ perplesso e trasognato, una sorta di malinconica e sconclusionata rieducazione sentimentale, alla ricerca di un appuntamento galante o almeno di un sorriso d’intesa con una delle infinite donne che, tra vecchi amori (la compagna di scuola in carriera) e nuove muse (la procace infermiera della madre e la svagata Aylin, vicina di casa dotata di San Bernardo) popolano il suo mondo o vi si affacciano per un attimo negli assolati pomeriggi romani. Inutile dire che ogni tentativo, compresi quelli a pagamento, per un motivo o per l’altro si risolve in un fallimento o si dissolve nell’indifferenza (qualcuna non lo nota nemmeno, qualcuna si dimentica, qualcun’altra addirittura si addormenta), mentre l’unica donna che non manca mai all’appello è proprio la madre che, telefono sempre a portata di mano, lo chiama per ogni evenienza, naturalmente nei giorni di riposo dell’infermiera. Ben presto si intuisce che la routine tornerà ad imperare, non prima però di una cenetta di famiglia condita di un po’ di sana ipocrisia e di uno stordito e involontario tentativo di fuga (in cui il lato onirico, complice un’improvvida visita alla vicina, prenderà per un po’ il sopravvento). Perdendo un po’ dello smalto e della freschezza di “Pranzo di Ferragosto” (si ricordi la mitica la scena dell’abbordaggio notturno, con il protagonista che cercava di frenare le avances della sua anziana ospite), Di Gregorio prosegue tuttavia in modo efficace nel tratteggiare un personaggio dai modi gentili, arresosi di fatto, per pigrizia o per rassegnazione, a imposizioni e piccole cattiverie altrui, eccezion fatta par qualche impercettibile tentativo di rivolta (si scola di nascosto la bottiglia di champagne della madre o spende tutti i soldi della pensione per un abito nuovo). Senz’altro meno caratterizzati gli altri personaggi, a partire dalla galleria di volti femminili che appaiono e scompaiono nella vita di Gianni senza lasciar traccia di sé, finendo per somigliare, secondo una vena naturalmente parodistica, non tanto a figure in carne e ossa, quanto ad archetipi del desiderio maschile: dalla vicina di casa alla fidanzatina dei tempi della scuola, dall’infermiera venuta dall’est alle bionde sorelle gemelle. Di Gregorio, il cui film è stato presentato all’ultima Berlinale nella sezione Speciale,  rimane comunque uno dei volti nuovi (non anagraficamente si intende) più interessanti e promettenti di un cinema italiano garbato e intelligente, capace di esplorare con coraggio e acutezza luoghi (come la terza età o la terra di mezzo che la precede) ultimamente troppo spesso disertati.

Sofia Bonicalzi
Sofia Bonicalzi
Sofia Bonicalzi è nata a Milano nel 1987. Laureatasi in filosofia nel 2009 è da sempre grande appassionata di cinema e di letteratura. Dal 2010, in seguito alla partecipazione a workshop e seminari, collabora con alcune testate on line.

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