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Gli amanti passeggeri di Pedro Almodovar

E’ l’incubo di chiunque si accinga a salire su un aereo: non toccare più terra, rimanere prigioniero dell’aria per una perturbazione o peggio per un incidente. Queste potrebbero essere le premesse per un film ad alta tensione, sulla scia degli innumerevoli thriller che hanno sfruttato la suspense dello spazio aereo tra killer e pericolosi terroristi, senza possibilità di fuga per i malcapitati passeggeri. Ma il tempo sospeso tra le nuvole può diventare pura gaiezza, rompere con le difficoltà del vivere nella pausa di un guasto al carrello. Gli amanti passeggeri – firmato da Pedro Almodovar dopo il durissimo dramma de La pelle che abito – si lascia andare sin dalle prime battute ai toni della commedia, pura e spregiudicata come succedeva alle origini della carriera del regista madrileno.

Un’umanità varia e vera abita la Business class del volo Peninsula 2549 diretto a Città del Messico, facendo da contraltare ai personaggi rimasti a terra –  primi fra tutti Antonio Banderas e Penelope Cruz, distratti neo genitori in  pista di decollo – in un’altalena di parole e verità più o meno scomode. Mentre l’intera classe turistica, hostess comprese, è immersa in un sonno artificialmente indotto, il personale di cabina si presenta in tutta la sua esuberanza omosessuale al pubblico, che può apprezzarne la comicità soprattutto se abituato al ritmo serrato e irresistibile delle pellicole almodovariane, dove le apparenze sfuggono al controllo della forma.

E’ il capo cabina Jossera a diventare manifesto vivente di questa tendenza all’antidissimulazione, “costretto” da un  misterioso patto a non mentire mai – particolare fondamentale fino all’ultima sequenza del film – aiutato in questa missione dalla tequila, essendo l’alcool quasi il terzo pilota dello squinternato volo intercontinentale in cui si svolge buona parte della storia. Una disattenzione alla partenza obbliga l’aereo a girare a vuoto in attesa di una pista per un atterraggio di emergenza, mentre i passeggeri, ignari in un primo tempo, cominciano a mostrarsi in tutta la loro irrequietezza esistenziale, interpretata dalle fedelissime di Pedro – Cecilia Roth e Lola Duenas – con l’accompagnamento di new entries maschili come Guillermo Toledo e Jose Maria Yazpik, e vecchie conoscenze come Jose Luis Torrijo, già visto in Tutto su mia madre, accolti nella famiglia cinematografica di Pedro insieme all’esuberante coppia di stewards Areces e Arevalo.

Il cerchio sembra chiudersi e avvolgersi su se stesso un’agua de valencia dietro l’altra, ma un telefono riporterà la realtà ad alta quota, connettendo le miserie umane con la gaiezza surreale della vita tra le nuvole. C’è ancora tempo però per concedersi uno sfrenato e divertentissimo ballo, rigorosamente al maschile, sulle note di “I’m so excited”, preludio all’esplosione erotica collettiva.

Quando arriverà il momento di tornare con i piedi per terra, le storie vecchie e nuove incrociatesi sul 2549 mai arrivato a destinazione si concludono con addii, scoperte e nuove partenze, avvolte nella soffice schiuma di un atterraggio che è emergenza economica e politica dell’oggi, popolato di corruzione e di precarietà del vero. Temi attualissimi sciolti nella gioia di un fugace amplesso, antidoto all’ipocrisia e alla crisi, volto della Spagna di Almodovar ma non solo. Un rimedio per porsi al riparo dal presente, condivisibile o meno, sicuramente una pausa di intelligente leggerezza per chi scelga di salire a bordo del film con lo stesso spirito dei suoi personaggi, trascinato dal ritmo brillo ed eccessivo di un brano pop anni ’80.

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Elisabetta La Micela si è laureata in Editoria e specializzata in Discipline dello spettacolo all’Università “La Sapienza” di Roma. Giornalista pubblicista, si occupa di scrittura creativa per diverse riviste on line e per la televisione, oltre ad aver maturato un’esperienza parallela nel campo della didattica e del teatro sociale.
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