“E se guarderai a lungo nell’abisso, anche l’abisso guarderà dentro di te” (“Al di là del bene e del male“, Friedrich W. Nietzsche)
Una serie di misteriosi appuntamenti, ciascuno dei quali corrisponde a una maschera, a un ruolo dettagliatamente pianificato. Nel corso di una sola giornata, Monsieur Oscar – che attraversa Parigi in limousine con un’algida autista bionda quale unica accompagnatrice – è un magnate dell’industria, una mendicante, un assassino a sangue freddo, un musicista in una banda, un folletto del sottosuolo (Merde, già comparso nell’episodio diretto da Carax del collettivo “Tokyo”), un padre di famiglia. Nove maschere si alternano sul suo volto (quello di Denis Lavant, che somiglia in modo inquietante a Klaus Kinski), dall’alba al tramonto. Nove travestimenti ne occultano un’identità che perde sempre più di consistenza e interesse. Il misterioso lavoro di Monsieur Oscar, che nel buio dell’automobile osserva il mondo esterno da uno schermo, è metafora di un’esistenza che ha smesso di cercare se stessa e si trova a proprio agio nelle maschere che indossa. I rapporti umani autentici (la cantante pop Kylie Minogue, una collega che, per l’occasione, impersona una hostess suicida) si riducono a una breve parentesi, fra il ricordo e la morte. “Holy Motors” (Concorso) ultima prova di Leos Carax, cineasta maudit, critico e scrittore torna con un film in digitale che si gioca sull’accumulo di suggestioni e metafore, sull’accostamento di immagini ossimoriche e in continua mutazione (l’uomo stop-motion e la compagna che si trasformano in dragoni; Eva Mendes – modella dea che diventa un’araba velata e poi la Vergine Maria, mentre il mostro seminudo è ora un Cristo deposto dalla croce). La necessità di rintracciare un filo in una trama al tempo stesso sconnessa e lineare (la successione ordinata degli appuntamenti di Monsieur Oscar) lascia il posto alla fascinazione visiva nei confronti di un’opera non riconducibile al senso comune, che vorrebbe scardinare il convenzionalismo delle pratiche quotidiane per mettere a nudo l’essenza di un’esistenza votata all’autoinganno. Opera folgorante e provocatoria, “Holy Motors” si interroga sul significato stesso della nostra esperienza nel mondo in un orizzonte allucinato e privo di speranza. Uomini, animali e macchine condividono lo stesso spazio, ridotti a una dimensione in cui nulla sembra avere davvero luogo e gli individui sono ridotti a figuranti più o meno consapevoli. Di fronte a quello che Monsieur Oscar considera un autentico lavoro, non si può evitare di chiedersi chi siano i beneficiari di questo spettacolo, quale sia il senso del continuo navigare fra volti e luoghi, a chi appartengono gli occhi che guardano senza sosta il balletto screanzato di un individuo senza volto. La vita come lo spettacolo cinematografico cui assistono gli spettatori dagli occhi chiusi della sequenza iniziale; la condizione umana riportata alle sue origini e a una condizione presociale (la famiglia di Monsieur Oscar è un’orda primitiva; la limousine è un antro oscuro e accogliente dal quale il protagonista sbuca improvvisamente, mescolandosi con il mondo); la città come luogo straniante e caleidoscopico, attraversato da luci inattese: con “Holy Motors”, matura espressione del suo spirito visionario, Leos Carax esplora i limiti della capacità umana di comprendere e rappresentare se stessi, di svelare il grande inganno e di sopravvivere all’abisso.