Due mondi entrano in collisione su una strada poco lontana da Bucarest: quello dei ricchi, come l’inetto figlio di mammà Barbu (Bogdan Dumitrace) e quello dei poveri in canna, dei proletari. Come il figlio maggiore della famiglia Angheliu, anni quattordici, colpito e ucciso dall’auto di Barbu intenta in un sorpasso selvaggio. Per un attimo della durata di qualche giorno – o di questo film – le pellicce sono costrette a entrare in contatto con i pantaloni lisi, e chi fino al giorno prima si preoccupava solo dei libri prestati al figlio e rimasti intonsi – Herta Müller e Pamuk, “sono dei Nobel in fin dei conti, no?” – ora deve fare i conti col rischio di una pena carceraria tra i tre e i quindici anni. Uno spread riducibile in un sol modo: con i soldi, l’arroganza, le bugie.
Il Caso Kerens narra di un lutto inizialmente mercanteggiato e solo alla fine, nell’ultima, straziante sequenza, affrontato in tutta la sua portata di assurdità, dolore, empatia. Il bambino di cui parla il titolo è proprio il trentenne Barbu, cresciuto – male – sotto una campana di vetro fino a diventare un pusillanime ipocondriaco e apatico con un’unica pulsione: la fuga. Dalla colpa, dalla fidanzata e soprattutto dalla madre, Cornelia (Luminiţa Gheorghiu), donna di mondo versatile e divoratrice. È lei a trainare la trama e a reggere il film quasi interamente sulle proprie spalle, giocando sul doppio binario della difesa a spada tratta del figlio (indifendibile) e del disperato tentativo di riconquistare il suo amore, o meglio di mantenerlo bambino imponendogli la propria volontà.
All’opera, ne Il Caso Kerens, vediamo alcuni dei talenti più spiccati del nuovo cinema rumeno. A cominciare dalla formidabile Luminiţa Gheorghiu (già vista ne La morte del signor Lazarescu di Cristi Puiu e negli ultimi due film di Mungiu), passando per Dumitrace (anch’egli in Lazarescu, e grande protagonista di Din dragoste cu cele mai bune intentii di Adrian Sitaru) fino a Vlad Ivanov, qui automobilista senza scrupoli ed ex abortista nella Palma d’oro targata Cristian Mungiu. Il regista e sceneggiatore, Călin Peter Netzer, opta per una camera a spalla in continuo movimento, a tratti apparentemente indecisa su cosa inquadrare e persino disposta allo zoom. Una scelta stilistica che guasta i primi minuti del film per poi placarsi dopo l’annuncio della tragedia – forse, a posteriori, per sopravvenuta assuefazione.
Acuminato studio di caratteri, Poziţia copilului offre almeno due piani di lettura: quello sociale e quello intimista-familiare, con picchi di dissociazione garantiti dal personaggio di Barbu e dalle sue ossessioni. La colonna sonora abbonda di Gianna Nannini in chiave esotica / rasserenante, e sfrutta con grande intelligenza il quartetto d’archi di Bach che Cornelia ha impostato come suoneria del cellulare. E se l’ultima sequenza è straziante, l’ultimo piano equivale a una stilettata in pieno petto, impregnato com’è di quel laconismo umano, troppo umano che innerva il meglio della produzione rumena recente.