domenica, Dicembre 22, 2024

Il comandante e la cicogna di Silvio Soldini, la recensione e l’incontro con l’autore

Dopo la ricerca di un realismo asciutto vista in Giorni e nuvole (2007) e Cosa voglio di più (2010), Silvio Soldini rispolvera la ricetta del suo lavoro più riuscito, Pane e tulipani (2000), con una commedia dalle impennate surreali, circondata da un alone magico e animata da uno spirito lieve e ironico. Non mancano però gli agganci all’attualità di una nazione sempre più limacciosa, dove imperversano la retorica dei furbastri e costumi di cattivo gusto. L’idraulico Leo Buonvento (Valerio Mastandrea) si divide fra lavoro e famiglia in un routine stremante, costretto a crescere da solo i due figli (Luca Dirodi e Serena Pinto) in seguito alla morte della moglie (Claudia Gerini), col fantasma della quale si intrattiene nottetempo in lunghe discussioni, restio dal mettersi alla ricerca di un’altra compagna. C’è poi Diana (Alba Rohrwacher), pittrice squattrinata con la testa fra le nuvole, preda di lestofanti che non le pagano le prestazioni lavorative, a caccia di soldi per coprire gli arretrati d’affitto, continuamente rivendicati dallo scorbutico e lunatico Amanzio (Giuseppe Battiston), che passa le sue giornate a fare il predicozzo alla gente per strada. Delle storie parallele che finiranno per incontrarsi, accompagnate, come per magia, da sguardi e parole di statue raffiguranti Giuseppe Garibaldi, Leonardo Da Vinci, Giacomo Leopardi, e  un tale cavalier Cazzaniga (doppiati da, in ordine: Pierfrancesco Favino, Neri Marcorè, Gigio Alberti). “Gli uccelli sanno che non sappiamo volare o pensano che non ne abbiamo voglia?” chiede incessantemente il quattordicenne Elia. Un chiaro indice della ricerca soldiniana di una prospettiva diversa da cui vedere le cose, dall’alto di un volo fiabesco, spiccato in funzione di un’urgenza di elevarsi dalla realtà italiana per niente confortante, con l’intento di riscoprire la purezza e il nitore di sentimenti, valori, sogni o desideri messi quotidianamente a dura prova. Aspirazione assai apprezzabile, ma sorge a più riprese il dubbio che i bersagli della critica sociale non siano messi bene a fuoco e che l’indignazione si disperda nella vaghezza ideologica, esponendosi al rischio di apparire finanche qualunquista nel raccontare storture – come ad esempio quelle espresse dall’avvocato Malaffano (un brillante Luca Zingaretti con inflessione meneghina) –  piuttosto generiche e trite, ampiamente superate dalla cronaca corrente. Per Soldini, tuttavia, esistono ancora le strenne del caso, che non considera forza avversa generatrice di sventure, bensì foriero di incontri che possono rivelarsi preziosi per riaccendere una vitalità un po’ assopita, infondere fiducia nel futuro e negli altri, uscire dalle strettoie della solitudine. Un film deliziosamente naif sul piano figurativo – esattamente come l’affresco dipinto dalla Rohrwacher – che conferma, come se ce ne fosse bisogno, l’inesauribile verve fantasiosa di Soldini e il suo indiscusso talento nella direzione degli attori (tutti eccellenti, con Mastandrea e Battiston in stato di grazia).

Durante la conferenza stampa al seguito dell’anteprima milanese, regista, attori e sceneggiatrice hanno raccontato la natura del progetto e i retroscena della lavorazione.

Raccontare l’Italia di oggi con i toni della commedia, senza cadere in atteggiamenti indulgenti ed evitando esasperazioni grottesche, è piuttosto difficile. Tu invece hai cercato un equilibrio tra questi due estremi. Come ci sei riuscito?

Silvio Soldini: Spiegare come ci sono riuscito non è semplice, però fin dall’inizio sapevamo, in sede di sceneggiatura, che questo sarebbe stato il problema principale, così come riuscire a far convivere le diverse anime del film insieme: quella surreale, quella comica, quella realistica. Il fatto di ridere e far divertire parlando dell’Italia o della società in generale è un discorso che viene portato avanti dalla commedia italiana dacché essa esiste. Il problema rimane sempre il dosaggio: se si riflette troppo non si ride più e, viceversa, se si ride troppo non si riflette a sufficienza. Quindi bisogna trovare una lama di rasoio su cui camminare. Speriamo di averla trovata. È una cosa che ha a che fare in primis con la scrittura, ma anche con la regia.

Doriana Leondeff: La  scommessa era appunto di raccontare un momento come quello che stiamo vivendo, con degli agganci alla cronaca e alla realtà molto precisi, in chiave di commedia. Per esempio, tutta la vicenda che capita a Maddalena è una di quelle storie sempre più frequenti che riempiono le pagine dei giornali, quando sentiamo di queste ragazze esposte alla gogna pubblica per la diffusione in internet di filmini privati. Non volevamo alleggerire i fatti in sé, ma filtrarli attraverso uno sguardo diverso da quel che ci si aspetterebbe. E poi siamo stati aiutati molto dalla collaborazione degli attori che nel corso delle riprese hanno arricchito i personaggi con le loro personali intuizioni.

Di alcuni attori, come Mastandrea e Battiston, già conoscevamo il potenziale comico. Ma quello di Alba è stato una vera sorpresa, così abituati a vederla in film drammatici. Come sei riuscito a intuire questa sua qualità?

Silvio Soldini: E’ da quando la conosco che so del suo lato comico. Solo che non ha mai utilizzato questa parte di sé. Ogni tanto l’abbiamo dovuta spronare, perché è un po’ riluttante nel mostrare questo suo lato caratteriale. E poi il potenziale comico ce l’ha ogni bravo attore, perché deve saper esprimere tutte le emozioni, dal riso al pianto.

Alba Rohrwacher: Per la riuscita del personaggio ho cercato di attenermi con fedeltà alla sceneggiatura, cercando di mostrare una goffaggine che potesse essere divertente.

Quanto hanno contribuito gli attori a rendere più divertenti alcune situazioni descritte in sceneggiatura?

Silvio Soldini: Abbiamo fatto molte prove. E in generale sono stato io stesso a chiedere agli attori di impreziosire le situazioni con idee loro.

Valerio Mastandrea: E’ difficile far ridere. Siamo interessati a un tipo di ironia che trasmetta anche dei contenuti. Durante le numerose prove c’è stato un lavoro molto attento sulle minime sfumature dei personaggi. Abbiamo perseguito con ostinazione la cura del dettaglio.

Ci racconti come hai lavorato con i due giovani esordienti.

Silvio Soldini: Ho avuto grande fortuna nel trovarli. Abbiamo messo “a ferro e fuoco” Torino, per le scuole, e siamo riusciti a scovare loro due. Devo dire che è stato molto bello lavorare con Luca e Serena, perché non si sono lamentati una sola volta della fatica che hanno comportato le riprese. Anzi, hanno sempre dimostrato un forte entusiasmo. Non sono mancati alcuni momenti difficili, però questo fa parte del gioco. Per esempio, dal punto di vista emotivo per loro è stato ovviamente un po’ difficile la scena in cui vengono presi a sberle.

Il comandante e la cicogna, che sono forse le invenzioni più surreali del film, erano presenti nel soggetto fin dall’inizio, oppure c’era dell’altro che poi è stato tolto nella sceneggiatura definitiva?

Silvio Soldini: In effetti all’inizio non c’erano. Siamo partiti dai personaggi principali e poi è subentrata un’idea di Marco Pettenello [terzo sceneggiatore – ndr] che si è ricordato di un ragazzino, da lui conosciuto tempo prima, che aveva dei problemi sociali e scolastici e come migliore amico aveva un falchetto. Che in fase di sceneggiatura è stato trasformato in una cicogna. Per quanto riguarda le statue, mi è venuto in mente l’inizio di un film di Alain Tanner, Jonas che avrà vent’anni nel 2000, dove c’era la statua di Jean-Jacques Rousseau che parlava, recitava un brano de Il contratto sociale mentre la macchina da presa gli ruotava attorno con un dolly.

Diego Baratto
Diego Baratto
Diego Baratto ha studiato filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Si è laureato con una tesi sulla concezione del divino nella “Trilogia del silenzio di Dio” di Ingmar Bergman. Da sempre interessato agli autori europei e americani, segue inoltre da vario tempo il cinema di Hong Kong e Giappone. Dal 2009 collabora con diverse riviste on-line e cartacee di critica cinematografica. Parallelamente scrive soggetti e sceneggiature.

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