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Il debito di John Madden (Usa, GB, 2010): recensione

The Debt è il remake britannico/statunitense di un film israeliano del 2007 di Assaf Bernstein, Ha-Hov, candidato a quattro Israel Academy Awards, equivalente dell’Oscar per Hollywood; è un pezzo di bruttissimo cinema, ce ne parla Paola Di Giuseppe in un confronto serrato tra l'originale e la copia...

The Debt è il remake britannico/statunitense di un film israeliano del 2007 di Assaf Bernstein, Ha-Hov, candidato a quattro Israel Academy Awards, equivalente dell’Oscar per Hollywood. Il cast in The Debt è indubbiamente ben scelto, Helen Mirren nella parte di Rachel anziana è sempre una presenza magnetica e i comprimari non sfigurano, anche se  Sam Worthington nel ruolo di David in versione giovane risulta piuttosto ingessato per una parte ricca di sfaccettature che avrebbe meritato un coinvolgimento migliore, e Jessica Chastain, Rachel da giovane, si fa ammirare più per la bellezza che per doti attoriali. La storia dei tre giovani agenti del Mossad che falliscono e si fanno scappare il criminale dopo essere stati inviati a Berlino Est nel ’65 sulle tracce di Dieter Vogel, tristemente noto come “il chirurgo di Birkenau”, medico nazista dedito ad esperimenti di eugenetica su internati nei lager e ora affermato ginecologo, è ricca di suggestioni, e, come tutte le memorie che affondano le radici nella tragedia della Shoah, si tratti di fiction o di storia vera, apre scenari di impossibile rimozione e per questo il dovere della giusta misura è tanto più categorico. A ciò bisogna aggiungere che, dopo Shoah di Lanzmann, l’impegno del cinema nell’affrontare tematiche connesse a quel passaggio infame della storia del ‘900 è ancora più vincolante, Lanzmann ha posto un limite e ha fondato uno stile, ciò che è avvenuto dopo è sempre stato a rischio di operazione impropria, come accade in questo film, che snatura il senso profondo di drammi individuali e collettivi molto ben focalizzati, invece, nel lavoro di Bernstein. Ci si chiede allora quale sia il senso di un remake, peraltro così cronologicamente vicino al suo originale, e non si trova una risposta convincente. L’analisi di The Debt non può quindi prescindere da una comparazione con Ha-Hov, di cui modifica gran parte della struttura narrativa per evitare l’effetto fotocopia, dando così alla storia il ritmo del thriller, sposta la rivelazione del segreto intorno a cui ruota tutto il plot nella seconda parte, mentre in  Ha – Hov è all’inizio, e l’impressione di aver a che fare con una spy story è perciò preponderante rispetto all’approccio più intimistico e psicologico del film israeliano, meglio orientato nel mettere in evidenza conflitti di coscienza, bisogno di rimozione, difficoltà di convivenza con la memoria e necessità di assunzioni di responsabilità, storie e ragioni ben note al popolo d’Israele. Il profondo senso etico del messaggio di Bernstein è tutto nell’aporia evidente tra la necessità di mentire per il bene della patria sull’esito della missione e la convivenza dolorosa con una menzogna che, presto o tardi, presenterà il suo conto. In Ha – Hov i due piani temporali della vicenda sono resi con montaggio alternato e convivono con identica tensione in un susseguirsi di analessi e prolessi sostenute con felice equilibrio narrativo, l’impressione di sincronia che ne deriva è frutto di una regia rigorosa che rifugge da effetti e colpi di scena clamorosi, guida con mano solida attori dai volti non noti, ben capaci di interpretare ruoli abbastanza ingrati. Si tratta infatti di agenti del Mossad, potente e, per definizione, infallibile agenzia d’ intelligence e servizio segreto israeliano, che falliscono nell’impresa e mentono, convivendo per trent’anni con un problema di coscienza di notevole portata, ed è quello che in The Debt non risalta nel modo giusto, perdendosi nelle secche di una ricerca di effetti che s’incaglia nell’eccessivo risalto dato alla love story interna al terzetto, nell’insistenza su dettagli ridondanti  di nessuna efficacia comunicativa (l’inserimento della figlia di Rachel nel quadro della storia, i risvolti negativi del suo matrimonio e successivo divorzio con Stephan, uno dei due colleghi nell’impresa giovanile, divagazioni inutili se confrontate con la compattezza di Ha – Hov) e, soprattutto, si arena nella lunga sequenza dedicata al tentativo di fuga con l’ex SS rapito da una stazione di Berlino Est controllata dai Vopos, i  famigerati Grünen, Volks Polizei di rinomata efficienza e crudeltà, qui affrontati con mezzucci a dir poco ingenui. Assente nell’originale, è un pezzo di cattivo cinema, in cui all’approssimazione della ricostruzione ambientale si aggiunge una evidente improvvisazione nelle soluzioni narrative, al punto che vien da chiedersi cosa sarebbe accaduto se, nella realtà, la caccia ai criminali nazisti fosse stata affidata ad agenti così sprovveduti. Guardando Ha – Hov non si riceve la stessa impressione, pur nell’identità di situazioni c’è sobrietà, capacità di lettura dei comportamenti umani e, quel che più conta, abilità nel renderli credibili  e intelleggibili. Infine, il rapporto fra il criminale nazista, ormai reso impotente nella prigione/casa, e i suoi carcerieri, e il suo breve riapparire nel finale risolutore di fronte a Rachel venuta a saldare il suo debito con la Storia, è affidato ad uno script  sostanzialmente identico nei due film, ma distribuito in momenti diversi con effetto, in The Debt, decisamente straniante. La frase che più colpisce è quella del tedesco che dice con disprezzo: “Voi ebrei siete capaci solo di morire, non di uccidere”. Collocata in Ha – Hov nel finale, è la chiave di lettura più rivelatrice del film, porta su di sé il peso di quel doloroso interrogativo senza risposta che ha attraversato la coscienza di intere generazioni:“Perché non si sono ribellati?”, e il senso tremendo della colpa di non aver ucciso. In nome di tutto questo Rachel ucciderà. In The Debt la stessa battuta, collocata dov’è, al centro del film, durante un alterco fra prigioniero e carceriere, suona come la solita, scontata frase del repertorio antisemita, riesce solo ad infastidire chi ha visto Ha-Hov e a suscitare prevedibile indignazione negli altri. Come tutti i film che giocano sui buoni sentimenti mirando in realtà ad incassi di botteghino, The Debt non è il primo e non sarà, purtroppo, l’ultimo a parlare di Shoah e dintorni quando sarebbe stato meglio tacere.

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Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.
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