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Il piccolo nicolas e i suoi genitori – di Laurent Tirard (Francia – 2009)

Laurent Tirard sembra aver trovato una via per dar vita alle immagini del suo cinema, l’adattamento delle note stripes sceneggiate da René Goscinny negli anni ’50 lo hanno convinto a buttarsi in un progetto che lo vede al lavoro per la versione live action di Asterix e i Bretoni con un solo nome certo nel cast, ovvero il solito Gerard Depardieu nei panni di Obelix, come da tradizione. Dopo il pessimo Moliere, film di asfittica quadratura televisiva, la supervisione di Anne Goscinny deve aver infuso una notevole spinta creativa per la versione cinematografica de “Le petit nicolas”, è la stessa Anne che in una serie di interviste e dichiarazioni a mezzo stampa svela il volto di un progetto controllato, dove si parla di fedeltà allo spirito originale delle storie scritte dal padre, di una messa in scena che strizza l’occhio a Jacques Tati (aspetto sul quale non siamo del tutto d’accordo) e di un’atmosfera desunta dalle produzioni televisive dei primi anni sessanta, come Bewitched. Del mimimalismo tenero e salottiero di Jean-Jacques Sempé vengono potenziate quelle macchie di acquerello che colorano il bianconero del disegno e un’idea nostalgica e stilizzata di realtà, tanto che il Nicolas di Tirard lavora su questo spirito vignettistico conservandone in parte la monodimensionalità e la prospettiva frontale e introducendo alcune distorsioni e qualche idea semplice sull’uso comico della profondità di campo, giusto per attualizzare e rendere meno “antica” un’idea di rappresentazione che aveva un’origine teneramente favolistica. I colori allora sono forse più vicini alle produzioni di Sol Saks che non al disegno di Sempé mentre di Tati rimane una piccola ombra citazionistica in quelle gag che al contrario si avvicinano al tratto originale del disegnatore di Bordeaux; nessuna traccia ovviamente di quel rapporto disfunzionale e traumatico tra suono e immagine muta, Tirard è molto preoccupato nel confezionare un prodotto senza sbavature, perfettamente chiuso in un guscio di nostalgia cinematografica lontano dal peso dei riferimenti. Al di là di una leziosità mai rinnegata, quello che salva il film dalla trappola cinefila di qualsiasi nipotino di Amèlie è l’onestà di un progetto serenamente umoristico, legato ad un’idea malinconica del ricordo e ad una capacità notevole nel rendere “fedelmente” e senza traumi quel senso di ambivalenza che attraversa il mondo osservato con gli occhi dell’infanzia.

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