giovedì, Novembre 21, 2024

Il primo uomo sulla Luna di Basil Dearden (DVD Sinister Film – I classici ritrovati, 2012)

La recensione de "Il primo uomo sulla Luna di Basil Dearden", recentemente ristampato da Sinister Film per la serie de "i classici ritrovati"

 

Titolo Originale: Man in the moon
Origine/Anno: Gb, 1960
Video: 4/3 1.66:1
Audio: Inglese Dolby Digital Dual Mono | Italiano Dolby Digital Dual Mono
Sottotitoli: Inglese
Extra: Galleria fotografica

 

William Blood (Kenneth More) di mestiere fa la cavia per esperimenti medici sulla cura del raffreddore comune. Il progetto di ricerca è pomposo e ridicolo; gli scienziati, preoccupati degli scarsi risultati, si arrovellano sulla validità dei protocolli, senza dubitare delle premesse: la medicina è un ‘dovere verso l’umanità’. La satira contro la scienza che pretende il controllo dell’uomo, incasellandone i comportamenti e le reazioni in medie statistiche, scaturisce da una premessa che – esplicitata – oltre a un sorriso provoca anche un brivido: “Se i pazienti si misurassero la temperatura tutti da soli dove andremmo a finire?” commentano gli scienziati ministeriali. Una salute di ferro finisce dunque per essere di per sé anarchica e destabilizzante. Così è l’eccezione a ridicolizzare la regola, minando alle fondamenta il concetto stesso di ‘normalità’: Blood sfugge alle logiche dell’esperimento per la sua straordinaria resistenza alle intemperie. Se gli altri uomini-cavia deperiscono depressi e mocciolosi sotto gli ombrelli aperti in stanze chiuse invase da pioggia e vento prodotti dal “simulatore d’estate inglese”, Blood invece dorme tranquillamente all’aria aperta, perfettamente a suo agio anche in un letto in mezzo a una radura. “Cercate di scoprire perché io sto bene, invece di cercare di capire perché stanno male quegli altri.” La sua è una straordinaria immunità ai meccanismi di assuefazione: “Hanno tentato di inocularmi di tutto.” Invitato a portare altrove la propria salute che ha un’influenza sovversiva, Blood esclama infine sconcertato: “Siete fuori strada: l’enigma è nella testa, è un’attitudine mentale”.
Siamo nel 1960 e il mito della scienza e della tecnologia promette sorti magnifiche e progressive all’umanità, divisa in due blocchi contrapposti per la Guerra fredda che raggiunge il suo acme con l’epopea della corsa allo spazio. I russi hanno lanciato in orbita la cagnetta Lajka, morta per gli sbalzi termici, gli americani ci hanno provato con gli scimpanzé. Gli animalisti protestano, gli astronauti sono troppo preziosi per essere sprecati: non rimane che ricorrere a una cavia umana. Serve un uomo che sia immune allo stress psicofisico. E quest’uomo non può che essere Blood.
Il britannico programma spaziale (finzione cinematografica) parrebbe ideato dal regista Basil Dearden per mostrare quanto fosse velleitario puntare il dito verso la Luna parlando di progresso per l’umanità, senza vedere la trave nell’occhio di società che al di là dell’etichetta (democratiche o comuniste) risultavano, nella sostanza, conservatrici e omologanti. La sfida della post-bellica social comedy anglosassone, di matrice liberale, fin dai tempi degli Ealing Studios e più tardi nella breve stagione indipendente della Allied Film Makers – di cui questo è il secondo film prodotto – fu mettere in scena il paravento borghese per alludere a ciò che presumeva goffamente di celare. Perciò, in questo caso, il candidato ideale per la nuova ‘fanteria dello spazio’, per citare il coevo romanzo di Robert Heinlein (1957, poi sullo schermo con Paul Verhoven nel 1997), doveva assicurare totale assenza di coscienza critica: “Senza deviazioni politiche: ha votato conservatori alle ultime elezioni. Uomo senza idee, bene”. Ma ancora non avevano fatto i conti con Blood.
Sceneggiata con Bryan Forbes e prodotta da Michael Relph, compagno inseparabile di Dearden sin dal debutto alla regia nei primi anni Quaranta, questa commedia stilizzata, senza pretese di affresco d’epoca, è piuttosto una piccola vignetta satirica che, col tratteggio sottile e apparentemente ingenuo di un film di genere, affronta the burning issues of the day, tematiche di attualità sociale legate ai temi scottanti del momento, gli stessi di cui la censura anglosassone durante la guerra vantava la totale assenza nei film inglesi in nome dell’unità nazionale. Ma già nel 1947 la coppia Dearden-Relph firmava un film come Frieda (1947) sull’ostracismo di una piccola comunità inglese nei confronti di una tedesca sposata ad un locale. Così è difficile etichettare come film d’evasione Il primo uomo sulla Luna (Man in the moon, 1960) se un anno prima Zaffiro nero (Sapphire, 1959) tra le pieghe del film giallo raccontava dell’omicidio di una donna nera che si spaccia per bianca; se la denuncia del pensiero dogmatico apparirà poco più tardi in Delitto di coscienza (Life for Ruth, 1962), sullo scontro tra medicina moderna e fondamentalismo religioso, e poi ancora in Il cranio e il corvo (The Mind Benders, 1963), film sulla responsabilità etica della scienza. Lo scontro tra costumi sociali e libertà personale, individuo e istituzioni erano temi celati tra le pieghe di film tradizionali nella forma. Le situazioni paradossali della commedia erano volte a stimolare la reazione critica dello spettatore. Ma evidentemente occorreva essere più espliciti e non erano tempi adatti alle sottigliezze satiriche. Il film successivo sarà La vittima (Victim, 1961) in cui il tema dell’omosessualità era coraggiosamente dichiarato, al punto da incorrere in una dura censura e in feroci proteste. Una lettura a posteriori di questa piccola commedia, di un solo anno precedente, ne rivela alcune interessanti connessioni: il tema cripto-omosessuale vi occhieggia a più riprese.
La satira sui valori tradizionali si sviluppa, infatti, forzando il cliché dello scapolo felice e della disgrazia del matrimonio. Si ammala ineluttabilmente chi è sposato. Perfino la scimmia pioniera, tornata dallo spazio, “ha ucciso suo marito”. Il segreto di William Blood è il suo celibato: guida un’auto monoposto ed è contento così. La sua salute si indebolirà quando rischierà di conformarsi a quella che sembra una sventura imprescindibile. Preso al laccio dal sesso debole (il matrimonio eterosessuale) il sesso forte s’indebolisce. Lontano dai guai, lontano dalle donne. Addio immunità, Blood comincerà a tossire e starnutire come tutti gli altri. E infatti malgrado la retorica dello scapolo che cade in trappola, il suo sguardo nei confronti della spasimante (non poi troppo spasimata) Polly (Shirley Anne Field) non è mai seduttivo, ma semmai tenero e ironico. “Qui intorno ce n’è per tutti i gusti” risponde Blood a chi gli chiede con quale genere di compagnia abbia passato la notte. La gelosia del suo antagonista, l’apprendista astronauta Leo (Charles Gray) si trasforma in una infatuata e passionale amicizia dopo l’immersione in una vasca di “deprivazione mentale” (poi presente in Il cranio e il corvo e molti anni dopo anche in Stati di allucinazione di Ken Russell, 1980). Sottoposto al trattamento che riprogramma in omofilia la sua aggressività, Leo si trasforma nel migliore amico di Bill, con slanci affettuosi frenati soltanto dall’aplomb inglese (“Se fossi un francese ti abbraccerei”). L’arrivo della donna interrompe l’idilliaca serata dei due amici e Bill, che tiene tra le braccia la donzella, lo invoca ripetutamente quando l’altro si defila. Il tema è velato ma torna insistente dietro la storiella della capitolazione dello scapolo. Dopo la promessa di matrimonio, Bill per la prima volta fallisce la prova ad alta quota – una scena dalla carica erotica assai allusiva, con Blood che impugna un idrante sparaschiuma inondando il suo amico e il pilota, mentre gli scienziati assistono perplessi e scandalizzati. Seguono poi rapidamente la defezione e la fuga, il colpo di scena e un nuovo esperimento scientifico: la riproduzione coniugale. Nel rocambolesco finale, Bill farà di tutto per salvare gli amici dal fatale lancio. “Io vengo dalla Luna e voi dovete rifare un pochino i conti”. La primavera dell’anno successivo Jurij Gagarin sarebbe stato il primo uomo nello spazio; per arrivare alla Luna sarebbero passati ancora anni, ma in questo caso il tema prevalente parrebbe davvero proprio essere un altro.

Galleria fotografica con scene e locandine originali. Edizione sottotitolata sulla base dell’originale inglese, con traduzione alternativa a quella doppiata in questa edizione dei classici ritrovati edita da CG Home Video. Nel doppiaggio italiano dell’epoca il nome del protagonista è cambiato da Blood in Bur per creare giochi di parole di effetto piuttosto pietoso (il Bur che se la squaglia, la frittata senza Bur, tutto benone “a Bur e alici”). I nuovi sottotitoli italiani finalmente permettono di apprezzare la versione originale.

 

 

 

Catia Renna
Catia Renna
Catia Renna ha studiato slavistica alla Sapienza di Roma, dove ha conseguito un dottorato di ricerca. Ha tradotto le opere di Viktor Pelevin. Ha lavorato come consulente e addetta stampa per alcune produzioni cinematografiche russe e italiane. Ha pubblicato uno studio sull’immaginario letterario russo nel cinema gotico di Mario Bava. Vive a Milano.

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