Quando la piccola Klara lo accusa di molestie sessuali, l’esistenza di Lucas muta radicalmente. Lucas fa l’educatore in una scuola per l’infanzia, è divorziato e vorrebbe trascorrere più tempo con il figlio Simon; vive solo con una cagnetta e ama cacciare i cervi nella riserva. Klara ha sei anni e i capelli biondi; è la figlia del migliore amico di Lucas e frequenta il Kindergaarten dove l’uomo è impiegato.
Dopo che Lucas ha rifiutato le avances della bimba innamorata del suo maestro, Klara racconta alla direttrice una storia confusa di buio e di cantine. Sconvolta la donna mette in moto la macchina della giustizia: avverte i genitori, si rivolge a uno psicologo e chiama la polizia. Sappiamo da “Il nastro bianco” che i bambini possono essere crudeli, che sono capaci di ripicche e bugie. Qui non c’è traccia di una forma di ribellismo contro un’educazione punitiva, ma l’impulso inconsapevole di mettere in crisi gli schemi del mondo adulto, di compiere un gesto che obbligherà Lucas a offrire a Klara un posto di rilievo nella sua esistenza.
In un mondo di adulti virili che amano la caccia, le armi da fuoco e il buon vino, un angioletto biondo getta una bomba dalle potenzialità catastrofiche. “Il sospetto” (“Jagten”) di Thomas Vinterberg, presentato in concorso all’ultimo festival di Cannes, è il ritratto angoscioso di una discesa all’inferno, del calvario personale di un cacciatore che si tramuta in preda inerme e, al tempo stesso, è la rappresentazione dell’isteria collettiva che travolge una piccola comunità, distruggendo ogni convenzione del vivere civile. Il nemico è umiliato, picchiato, abbandonato dagli amici e chiunque tenti di aiutarlo è vittima del medesimo trattamento. Vinterberg – che ritrova smalto dopo la parentesi americana – insegue il suo protagonista, la stella del cinema danese Mads Mikkelsen, spogliata della sua usuale virilità, che si trasforma nell’ombra di se stesso, in un individuo spaventato, ma deciso a difendere la propria innocenza contro ogni evidenza.
L’istinto mimetico conduce il branco a riprodurre i meccanismi dominanti, così i bambini in coro accusano Lucas di molestie che non hanno mai avuto luogo, mentre gli adulti si schierano compatti contro il mostro. La reazione al male presunto corre su due binari, da un lato l’inchiesta giudiziaria, che arriva in breve tempo a una conclusione, dall’altro il protezionismo aggressivo della collettività che, come Lucas scoprirà a proprie spese, rappresenta la mina più difficile da disinnescare.
L’ombra del dubbio si insinua fra Lucas e i suoi affetti, mentre soltanto un bambino (il figlio), il contraltare positivo della piccola Klara, si ostinerà a difenderlo. Sono proprio i genitori, incapaci di gestire con lucidità le ansie relative ai propri figli, che finiscono per travisarne le intenzioni, dimostrando ancora una volta di essere incapaci di comprenderli. A quattordici anni da “Festen – Festa in famiglia” (premio della giuria al 51º Festival di Cannes), il cofirmatario di Dogma torna a raccontare una storia legata al tema degli abusi su minori, invertendo tuttavia il punto di vista. Dove la vittima era un figlio che accusava il padre-patriarca, ora c’è un uomo, presunto carnefice, abbandonato in una lontananza senza rimedio.