Charlie Kaufman è indubbiamente una delle personalità più spiccate e riconoscibili dell’attuale cinema americano. Le sue sceneggiature labirintiche hanno affascinato il pubblico e conquistato una sequela di estimatori e imitatori tra gli addetti ai lavori. Dopo aver lavorato con Spike Jonze, Michel Gondry e George Clooney, ha portato a termine nel 2008 il suo esordio alla regia, Synecdoche, New York: un gioco di echi e di incastri sul passare del tempo, sulla vita e sull’arte come sua vertiginosa, impossibile e smaniosa imitazione. In occasione della retrospettiva sul suo lavoro organizzata dal Biografilm Festival di Bologna, abbiamo avuto il piacere di incontrarlo. Ci ha parlato della suo primo approccio con la macchina da presa, della sua personale e del suo prossimo ambizioso lavoro.
Le Foto di questo articolo sono di Francesca Pontiggia e sono state scattate successivamente all’intervista rilasciata da Kaufman in esclusiva per Indie-eye.it, ovvero durante l’incontro di Kaufman con il pubblico programmato alle ore 20:00 del 12 Giugno 2010 al Biografilm di Bologna. L’intervista di Alfonso Mastrantonio non è un resoconto della serata, ma la registrazione di una conversazione face-to-face in esclusiva; buona lettura!
Syneddoche, New York è probabilmente il suo film più ambizioso, pessimista e privo di compromessi. Quasi che il Charlie Kaufman de Il Ladro di Orchidee si sia liberato dei consigli del gemello Donald. Ci può parlare di questa sua prima esperienza dietro la macchina da presa?
Riguardo a Donald, bè, è difficile capire se passando alla regia me ne sono liberato definitivamente. E’ probabile che questa esperienza abbia fatto emergere maggiormente il mio stile personale. Il pessimismo del tema deriva principalmente dal fatto che sto invecchiando e mi ritrovo a pensare a cose diverse rispetto al passato, forse più scomode e difficili da trattare. Non so dire precisamente il motivo, ma trovo che il film che ho ricavato da questa esperienza priva di collaborazioni sia davvero molto vicino all’idea che avevo in mente fin dall’inizio. Per questo mi piacerebbe avere di nuovo l’opportunità di scrivere e dirigere i miei film. Il lavoro di regista è molto diverso da quello a cui sono abituato: mi sento ancora un novellino nel lato pratico, nella gestione delle risorse, nella direzione degli attori, ma è un’esperienza mi ha affascinato e vorrei ripeterla nei miei lavori futuri.
Nei suoi film la conoscenza, la maturità e il successo personale sembrano portare solo insicurezze su di sé. Può parlarci di questo aspetto dei suoi film e di come vive la sua attuale affermazione?
Quando ero più giovane e immaginavo di avere successo prima o poi, non provavo a riguardo le stesse sensazioni che provo adesso che lo sto vivendo. Sono contento di riuscire a fare il lavoro che faccio, ma il mio carattere in realtà si è modificato ben poco attraverso il successo. Di conseguenza mi ritrovo a combattere con gli stessi problemi, le stesse insicurezze che ho sempre avuto. Ciò che trovavo difficile da ragazzo mi risulta ancora difficile come uomo, sento ancora di dover capire molto di come funziona la mia vita e l’esistenza in generale. Che questo possa riflettersi nei miei film è esattamente una delle mie speranze e dei miei obiettivi quando comincio a lavorare su di essi.
Come si avvicina al suo processo di scrittura? I suoi film , ricchi di svolte e simbolismi, richiedono spesso di essere visti più volte per essere compresi a fondo. Ricerca intenzionalmente questo risultato?
Normalmente comincio prendendo in considerazione un tema ampio, universale, come appunto l’invecchiamento o l’amore o la ricerca o l’identità. Poi mi prendo un periodo per analizzarlo e sfaccettarlo il più possibile, in modo che la gente abbia voglia di ripensare al film e, perché no, tornare a vederlo. Mi piace l’idea che alla seconda e alla terza visione il pubblico possa trarne un’esperienza diversa,scoprendo sfumature e punti di vista sempre nuovi. Difficilmente riesco a prevedere le opinioni che ognuno si farà sul significato delle vicende che racconto, per me sono semplicemente il risultato di processi che sono il primo a non saper decifrare, ma proprio per questo mi interessa che il pubblico abbia la possibilità di riflettere a riguardo e trarre le sue conlusioni.
La sua idea di cinema sembra includere una concezione dell’arte come dispiegamento totale del sé e della realtà che la circonda. Ce ne può parlare?
Per riuscire a fare film che valga la pena vedere e rivedere, cerco di creare qualcosa che contenga l’idea della vita nella sua globalità. Mi piace pensare di riuscire a restituire la sensazione della complessità e della confusione che è insita nell’esistenza di ognuno. Il mio obiettivo è quello di raccontare una storia in maniera che si può definire olistica, che comprenda diversi vicoli, strade e svolte sperimentabili.
La sua scrittura rivela indubbiamente uno stile colto e ricco di riferimenti, che attinge da un ampio arsenale di espedienti della narrazione. Quali sono gli autori letterari che l’hanno influenzata maggiormente e cosa apprezza nel panorama cinematografico?
Per le tematiche che esploro in molti mi hanno avvicinato a Kafka e Borges. Non posso che esserne lusingato, dato che sono tra i miei autori preferiti. Oltre a loro mi viene in mente anche Philip K. Dick. In generale sono affascinato da tutti coloro che in qualche modo gravitano attorno alla scrittura surrealista e alle tematiche del paradosso: Samuel Beckett , Ionesco, ma anche i Monty Python, per esempio. Mi piacciono gli enigmi, I puzzle che in qualche modo riflettono la realtà dell’esperienza umana ed esplorano un panorama emozionale, interiore. Apprezzo molto anche autori italiani come Pirandello e Calvino. Di quest’ultimo non posso dire che sia una delle mie influenze, perchè l’ho scoperto da poco, ma trovo comunque che il suo lavoro sia entusiasmante. Per quanto riguarda il cinema, amo le opera dei Cohen, di David Lynch ma anche autori con un approccio più classico come Mike Leigh.
Ci può anticipare qualcosa riguardo ai progetti su cui sta lavorando attualmente? Ho sentito parlare di una commedia sulla rabbia nella società attuale…
(Ride) Devo averlo definito di sfuggita in questo modo in qualche intervista per il web, ora continuano a farmi domande a riguardo. È curioso, perché in realtà proprio il web è al centro della sceneggiatura che ho scritto, anche se in effetti tratta anche di come la società attuale si strutturi in base all’aggressività e alla competizione. In parte è un argomento che ho affrontato anche in Human Nature, ma in questo progetto dovrebbe essere più articolato e consistente. Vorrei riuscire a racchiudere il mondo intero e tutti i suoi abitanti al suo interno.
Sembra che questo sia il suo principale obiettivo come artista, un po’ come Caden, il protagonista del suo ultimo film. Viene in mente, per ovvi motivi, anche l’idea di opera totale esposta da Wagner.
Ha qualcosa a che fare con quel personaggio, in qualche modo, ma è come se rappresentasse l’esatto opposto . Caden è una figura che voleva e che vuole che tutti si rapportino a lui, che tutti siano il suo specchio, mentre nel prossimo progetto voglio creare la sensazione che tutti siano in effetti al suo interno, in questa sorta di rete telematica fondata sulla rabbia e sul dolore. Questo è il mio obiettivo, non so se riuscirò a portarlo a termine. E’ curioso che tu abbia menzionato Wagner, perchè in effetti vorrei che in parte il risultato si configurasse come un musical. Al momento ho scritto il testo di quindici canzoni che vorrei comparissero al suo interno.