Killer Joe ha il formato “cameristico” degli ultimi film di Stuart Gordon e vive di una ferocia infernale tutta Friedkiniana; tratto da un lavoro teatrale di Tracy Letts scritto circa tre anni prima di Bug, il testo da cui lo stesso Friedkin aveva realizzato il suo film precedente, utilizza lo spazio contratto della scena per scatenare una brutale exploitation di corpi.
Chris ha contratto 6000 dollari di debito con un malavitoso; sotto consiglio di tale Rex decide di metter sotto contratto un Killer specializzato per uccidere la madre etilista, separata dal padre, e sulla quale penderebbe, in caso di morte, un’assicurazione di ben 50.000 dollari, malloppo che potrebbe dividere con gli altri tre componenti della famiglia: il padre, la matrigna e Dottie, la sorella più piccola.
L’esperto è Joe Cooper, interpretato da un incredibile Matthew McConaughey, uomo dalla doppia vita, poliziotto e Killer spietato. Chris, nell’impossibilità di fornire un anticipo a Joe come garanzia, è costretto ad assecondare la richiesta del Killer, ovvero concedere l’utilizzo sessuale di Dottie come forma di deposito cauzionale.
Joe si rivela in fondo come uno degli insider che vivono su una linea di confine nel cinema del regista americano; padre Merrin, il “cruiser” Al Pacino, Rebecca De Mornay in The Guardian; figure che irrompono in uno spazio, lo distruggono o ne subiscono l’influenza in modo irreversibile.
In un contesto familiare con le radici germogliate nello sterco, Killer Joe è come un demone che giunge a mietere il raccolto che gli spetta; rigorosamente animato da un’anti etica inattaccabile stabilirà una forma di complicità ambigua con la famiglia di Chris, ad eccezione di Dottie, vergine demente in attesa di poter finalmente vedere il mondo, qualsiasi forma esso abbia.
Con un esorcismo rovesciato, Joe Cooper darà vita al male che cova nel sottosuolo, e Friedkin insieme a lui, servendosi di uno stile deturnante che incorpora irresistibili momenti di comicità animale,tramutati un istante dopo in una versione scarnificata e brutale, che perde tutto l’umorismo per la strada. È il caso di una sequenza già culto e che vede Killer Joe costringere la matrigna di Chris a succhiare una coscia di pollo fritto posizionata all’altezza del suo cazzo; Friedkin la filma con una consapevolezza classica dello spazio ma allo stesso tempo con un’insistenza ossessiva, Wharoliana e assolutamente porno, tanto che la voglia di ridere si esaurisce in poco tempo come un rantolo in gola.
Il regista americano, con una forma che ricorda, come dicevamo all’inizio, l’austerità delle produzioni indipendenti più fiere di scuola Cormaniana, ritrova una forza espressiva dirompente realizzando probabilmente uno dei suoi film più belli di sempre, un horror fuori dal tempo come l’Esorcista, tornando nello spazio chiuso della famiglia, filmando il quotidiano come un luogo di minaccia, distruggendo lo spazio teatrale con il parossismo e la contrazione del tempo, penetrando il male come essenza primigenia dell’anima.