venerdì, Novembre 22, 2024

Kinesis, dalla tela all’immagine movimento, note su I Colori della Passione di Lech Majewski

Ultimo lavoro di Lech Majewski, I colori della Passione – The Mill and The Cross è un viaggio nel dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio, Die Kreuztragung Christi (La salita al Calvario).

Opera del 1564, oggi conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna, ha vissuto secolari peregrinazioni nelle mani di grandi collezionisti, fino ad arrivare nella Praga magica (( Espressione mutuata da A. M.Ripellino, Praga magica, 1975 )) di Rodolfo II d’Asburgo, il suo posto alla corte del  grande “pazzo” per l’arte l’aspettava. Alchimia che dal Vicolo d’Oro del Castello praghese rinasce in un tempo in cui la disarmonia fra le cose reali domina incontrastata, oggi il dipinto magicamente si anima, ci riporta la sua armonia, e il brulichìo fissato sulla tela diventa cinema, kinesis, movimento, dunque la nostra illusione di vita reale, quella fornita a Rodolfo dai colori generosamente stesi su lino o cotone a tessere mondi sconosciuti.

Tre anni di lavoro e l’uso di nuove tecnologie CG ed effetti 3D hanno ricreato il capolavoro del maestro fiammingo in digitale, pérformances realizzata nel cinema da altre importanti esperienze di ricerca con i mezzi dell’epoca. Già nel ’74 la spettacolare alchimia visiva de I cacciatori nella neve, ancora di Bruegel, aveva  convinto Tarkovskij ad animare quel quadro ne Lo specchio. Lungo questa strada si misero i più grandi, fra cui Kurosawa con Sogni nel ’90 (uno straordinario Martin Scorsese con la testa fasciata a coprire l’orecchio mozzato é van Gogh che dipinge un quadro dentro un suo quadro, rifrazione infinita dell’opera d’arte) per finire con Le nozze di Cana di Paolo Veronese, divenuto nel 2009 per mano di Greenaway un suggestivo gioco di immagini, luci e suoni lungo le pareti del Cenacolo Palladiano nell’Isola di San Giorgio a Venezia. Intrigante avventura dei linguaggi dell’arte e fertile contaminazione di arte e tecnica, ne I colori della Passione Majewski cura con precisione matematica gli studi prospettici (Riteniamo che Bruegel utilizzasse diversi bozzetti da diversi punti di vista mentre dipingeva – spiega il regista intervistato – Abbiamo fotografato e poi ripreso le prospettive individuali. Puoi fotografare le rocce, ma devi riprendere erba ed alberi, perché si muovono. Ci sono vari livelli prospettici, e di media ogni scena ne ha 40. La scena all’inizio del film, con le persone in piedi, è composta da 172 livelli. Ogni figura che si vede è stata inserita nel film separatamente),  ricostruisce con sensibilità colta e raffinata colori e atmosfere, sceglie i personaggi su cui soffermarsi fra le decine e decine di  figure del dipinto e avvolge tutto in un silenzio composto, mentre a tratti voci di un Miserere arrivano da lontano.

Predominante é stata l’esigenza di usare luci, voci e suoni come amalgama di scene in cui il dipinto, mentre prendeva vita, conservasse inalterati l’imprinting dell’autore e la sua “aura” originaria. Ne é nata una narrazione visiva di sicuro fascino, che accorda stilemi di sensibilità contemporanea con la densità della materia pittorica, stesa con quel piacere del colore che rappresenta il corpo primo dell’arte di Bruegel. Le infiltrazioni narrative del cinema nel vivo dell’opera sono avvenute così come liberazione da una matrice che le conteneva già in fieri, essendo la contaminazione nelle arterie stesse della pittura, figlia del proprio tempo e sorgente di nuovi arbìtri del pensiero.

L’arte non é un’istituzione convenuta – afferma infatti Roberto Longhi – ma libera produttività interna; la sua storia una storia di persone prime, quelle degli artisti; una storia, perciò, che senza astrarre da una certa cultura… non vuole tuttavia abusare di questa constatazione, ma precisarla soltanto: quando cioè si tratti non di conservazione di schemi esanimi ma proprio di trapasso interiore fra modi artistici, che sono anch’essi sentimenti vivi”  (( Roberto Longhi, Arte italiana e arte tedesca, 1941 ))

L’incontro di Majewski con il quadro di Bruegel é stato mediato da The Mill and The Cross (Il mulino e la croce) un’analisi del dipinto scritta da Michael Francis Gibson. La sceneggiatura successiva é nata dalla loro collaborazione.

Die Kreuztragung Christi é ambientato nelle Fiandre del XVI secolo.

Tra la corona di Spagna e i sudditi dei Paesi Bassi i motivi di attrito erano enormi: esosa pressione fiscale, pesante ingerenza del re nella gestione politica degli Stati, guerra di religione di Filippo II contro i movimenti riformistici. Ulteriore aggravante, il libero pensiero di Erasmo da Rotterdam, guardato col sospetto che sempre sconfina nell’odio. Le truppe spagnole, braccio armato della Santa Inquisizione, seminano terrore, tortura e morte, devastano il paese materializzandosi minacciose a cavallo fra le nebbie di quelle terre. Le loro giubbe rosse sono macchie di colore violento, insultante, in quel morbido cromatismo di bianco, grigio serico, rosa cipria e azzurro oltremare degli abiti che i personaggi indossano nella vestizione iniziale. Il pittore é protagonista, attualizza il dramma cristiano, stilema distintivo della pittura fiamminga già adottato da Jan van Eyck, ambienta nel presente del territorio olandese episodi del repertorio evangelico in una costante allegorizzazione del racconto biblico. Il paesaggio é fiammingo: mulini a vento, morbida ondulazione del terreno, colori caldi e taglio dei costumi. Masse e volumi si affollano in primo piano, seguono traiettorie orizzontali e diagonali. Uno sperone roccioso, col mulino in precario equilibrio sulla sommità, emerge isolato sul fondo. Lì abita il mugnaio, “il grande mugnaio del cielo che macina il pane della vita e del destino”. Guarda dall’alto senza intervenire, é il dio di un mondo divino troppo perfetto perché possa perdere parte della sua perfezione occupandosi degli uomini tanto imperfetti, come insegnò un giorno Epicuro. Il dramma del dolore umano é lasciato nella sua solitudine, quel Cristo che volle farsi uomo cade schiacciato dal peso dell’orrido legno sulle spalle.

E’ il punto di ancoraggio, il cuore della tela”, così volle Bruegel, che ha il volto scabro di Rutger Hauer, un Cristo immanente nell’umanità, parte di essa.

Macinato come grano, senza pietà”, sussurra la Madre, che ha la matura e sofferta dolcezza di Charlotte Rampling il mio bambino…era come se avesse camminato dritto fino alle porte rocciose del cielo…”.

Il dramma divino torna ad essere dramma umano, il corpo del giovane bruno che portava la mucca al pascolo, massacrato a terra dai soldati di un Dio indifferente e issato sulla ruota che svetta alta sul palo, a destra nella tela, pasto di neri corvi, è lo stesso dramma del Cristo che cade mentre intorno la vita continua. Il pianto desolato della giovane moglie del torturato, l’eretica sepolta viva dai ministri di quel Dio, il gioco inconsapevole dei bambini, i saltimbanchi e le scampagnate spensierate, tutto convive nel gioco assurdo della vita sospesa tra la vita e la morte, fra l’albero frondoso a sinistra e il palo nero della morte a destra. Sullo sfondo, la città turrita é la Jérusalem celeste di memoria biblica. ll movimento circolare del dipinto é guidato dal passaggio della luce, solare, ariosa nell’area sinistra, ombra cupa sulla destra, e culmina nella pesante macchia bruna in alto, sul Golgota, verticalità gotica dell’anima del Nord, dove il cerchio si chiude, sovrastato da pesante nuvolaglia gonfia di pioggia, mentre una piccola folla assiepata disposta in cerchio aspetta l’arrivo del condannato alla crocifissione per assistere allo spettacolo. Mentre la tela vive di spazio esterno che, nei suoi molteplici “punti di fuga”, avvolge lo spettatore rendendolo partecipe di ogni vicenda, nel film sono in gioco anche gli spazi interni, prolungamento dello sguardo del pittore, che entra a scoprire storie in uno spazio della rappresentazione che ha il rigore realistico delle tele di van Eyck. I passaggi cromatici, codici fondanti della pittura, e la diversa consistenza delle superfici, affidata dal grande fiammingo alle molteplici velature di colore reagenti alla luce, sono ora materia di filtri ed elaborazioni di computer grafica dosati con  magistrale intesa, mentre l’attenzione del pittore al volto dei personaggi nelle sue celebri coppie di borghesi delle Fiandre diventa angolatura di ripresa, primo piano, dettaglio indagato con attenta minuzia. Domina gli interni borghesi la figura di Nicolas Jonghelinck (Michael York), negoziante di Anversa e ricco collezionista d’arte amico del pittore, mentre nei vani ristretti di povere casupole l’uomo convive con gli animali che gli danno lavoro. Surreale é l’interno del mulino sulla cima della roccia, piccolissimo nella distanza sembra dilatarsi al suo interno per contenere la macina enorme, che ruota come sospesa nell’aria, sghemba e minacciosa. Pittura e live action convivono in una sapiente ricchezza di significati, i mezzi del cinema colgono e riscrivono quel pensoso raccoglimento che Bruegel comunicò con linee e colori. E’ il dramma della sofferenza che non ha voce, a cui diede vita, con straordinaria versatilità nel mettere in scena tutta la gamma delle passioni umane, un artista che Karel Van Mander, suo primo biografo, definì nello Schilder Boeck (Libro della pittura) “pittore dei contadini”. Majewski  ha raccolto la sua lezione con grande padronanza della materia visiva. Armonico rapporto ambiente-personaggi e convincente sviluppo narrativo  sono credenziali forti di questo lavoro. Storie disperate sviluppano un racconto circolare, raccolto su sé stesso in un persuasivo andamento drammaturgico, misurato nei toni e forte nella tensione interna.

“Il mio dipinto dovrà raccontare molte storie ed essere grande abbastanza da contenere tutto” fa dire il regista a Bruegel. lgnoranza, miseria, fame, malattia, avidità, violenza, ipocrisia, odio, dolore, rassegnazione e, infine, amore. Il dipinto ha contenuto tutto il reale, sottilmente indagato attraverso uno stile compatto, semplice, a suo modo ancora “arcaico”. Il film di Majewski lo ha animato portandolo fino a noi e, infine, l’ha riappeso al suo chiodo in quella sala del Museo di Vienna su cui il film si chiude, mentre la mdp si allontana, continuando a guardarlo mentre retrocede nel silenzio.

 

 

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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