Il ruolo fondamentale assunto dalla fotografia nell’arte contemporanea costituisce la premessa allo studio puntuale che Charlotte Cotton ci propone, attraverso la sua esperienza di curatrice al County Museum of Art di Los Angeles e al Victoria & Albert Museum di Londra. Lo spirito con cui è stato scritto questo libro appartiene in un certo senso più al curatore di musei che allo studioso. L’intento della Cotton non è di entrare nel merito di interpretazioni critiche raffinate e colte, come spesso accade a critici e studiosi di arte contemporanea. Non si preoccupa neppure di delineare le tappe del percorso storico della fotografia contemporanea. Come afferma la stessa autrice, lo scopo del libro è di restituire “una sorta di indagine, il genere di panoramica che si può incontrare se si visitano delle esposizioni […] dagli spazi artistici indipendenti alle istituzioni pubbliche ai musei alle gallerie private”. Il tono chiaro e colloquiale del libro lo rende simile a una sorta di passeggiata per i musei e le gallerie dei più importanti centri d’arte, accompagnati da una guida precisa e preparata. La volontà dell’autrice è di dare ordine e senso al vasto panorama della fotografia degli ultimi trent’anni, che grazie al crescente interesse di musei e gallerie d’arte è stata accolta a pieno titolo nel sistema dell’arte contemporanea. La critica principale che si può avanzare a questo libro, ovvero la sua sistematicità, è anche il suo maggior pregio. Nella complessità ed eterogeneità dell’arte contemporanea e della pubblicistica di settore, questo saggio si presenta come una guida chiara e semplice per orientarsi; una lettura interessante e stimolante sia per il lettore specializzato, sia per il lettore colto, come nella migliore tradizione della casa editrice Einaudi.
Il tentativo di sistematizzare uno scenario ampio e variegato è ben riuscito alla Cotton grazie ad una architettura strutturata in otto temi o tendenze della fotografia contemporanea. Con il corredo di ben 238 illustrazioni, commentate dall’autrice, le otto tematiche si snodano in altrettanti capitoli. A partire dal primo (“Se questa è arte”) che affronta da vicino il problema del rapporto tra fotografia e arte contemporanea, trattando di quel tipo di fotografia sviluppatasi dalla documentazione delle performance di arte concettuale negli anni Sessanta e Settanta. Questo gruppo di opere è accomunato dal carattere performativo e ideativo che sottende l’atto del fotografare; figurano tra gli autori Erwin Wurm e Sophie Calle, che utilizzano l’immagine fotografica proprio come punto di arrivo di un atto performativo preliminare.
La contaminazione dei generi e il citazionismo, aspetti à la page nella cultura attuale, sono declinati in due diverse tendenze descritte dalla Cotton. Nel secondo capitolo (“C’era una volta”) viene affrontato il problema della narrazione nella fotografia artistica; nel settimo (“Ripreso e rifatto”) l’attenzione si focalizza sulla questione della rielaborazione di pratiche
e strategie dell’immagine comuni al nostro immaginario, dall’arte alla pubblicità. Nel primo caso si tratta di una citazione di modalità retorico-compositive comuni alla pittura del XVIII e XIX secolo con la finalità di costruire una messa in scena teatrale della narrazione in forma di “tableau vivant”. Gli autori sfruttano il loro patrimonio di conoscenze visive per costruire immagini con un contenuto narrativo; Jeff Wall indaga in tal senso una certa idea di spazio compositivo tipica della pratica pittorica, mentre Tom Hunter mette in scena una vera e propria citazione di capolavori come l’Ofelia preraffaellita di The Way Home (2000). Uno dei più importanti fotografi che adottano queste strategie narrative, oltre a Gregory Crewdson, è Yinka Shonibare che crea un vero racconto per immagini in Diary of a Victorian Dandy (1998). Di tutt’altra natura risulta la tematica citazionistica descritta nel settimo capitolo, dove risulta centrale il carattere di revival di uno specifico immaginario collettivo, con esempi di sconfinamento nelle pratiche dell’archivio di immagini. L’autrice più rappresentativa, assieme a Gillian Wearing, è senza dubbio Cindy Sherman, che, quasi sempre protagonista delle proprie fotografie, incarna di volta in volta aspetti differenti dell’immaginario femminile, attraverso la messa in scena di fotogrammi cinematografici, foto di moda o dipinti.
Un altro nucleo di opere – incluse nel terzo capitolo (“Impassibilità”) – vengono ricondotte ad un’estetica neutrale della fotografia. Lo sguardo del fotografo è volutamente freddo, il soggetto domina la scena, senza la teatralità visiva delle foto “tableau vivant”, ma con una precisione descrittiva che dovrebbe corrispondere a uno stile oggettivo. Le radici di questa pratica sono da ricercarsi negli anni Novanta e nella reazione anti soggettivistica al neo-espressionismo degli anni Ottanta. Il fotografo di riferimento per questa estetica è Andreas Gursky, che utilizza stampe di grande formato per realizzare immagini in cui il punto di vista è talmente lontano dal soggetto da porre lo spettatore nel ruolo di un osservatore critico, escludendolo dalla scena. Lo stesso effetto di straniamento rispetto al soggetto è ricercato, in particolare, da Thomas Struth, attraverso la messa in prospettiva del pubblico dei musei che viene ritratto nell’atto del guardare.
Sul problema di definire il campo del soggetto fotografico si concentra invece il quarto capitolo (“Qualcosa e niente”), che descrive le conseguenze risultanti dall’applicazione dell’idea duchampiana di ready-made al soggetto fotografico. Attraverso un punto di vista soggettivo, ogni aspetto del mondo reale può diventare un soggetto potenziale. Al contrario, nel capitolo successivo (“Vita intima”) viene analizzato un soggetto specifico e comune, il diario intimo, nelle opere di artisti come Richard Billingham, Nan Goldin e Wolfgang Tillmans: da una parte il riferimento è alla pratica popolare delle foto di famiglia, dall’altra l’artista ritrae le proprie esperienze di vita generando un tipico esempio di commistione più o meno autentica tra arte e vita. Dal diario intimo si passa poi nel sesto capitolo (“Momenti della storia”) alla documentazione di avvenimenti storici, sconvolgimenti politici, dimostrando come nelle opere di Luc Delahaye e Allan Sekula, la pratica fotografica contemporanea allarghi i confini di quello che intendiamo convenzionalmente per fotografia documentaria.
L’ultima tendenza su cui si interroga la Cotton (“Fisico e materiale”) pone in causa il ruolo della materialità in fotografia, dal problema della diffusione del digitale alle pratiche di appropriazione fotografica, che sconfinano in vere e proprie foto installazioni. In particolare, sono analizzati i casi esemplari di Sherrie Levine e James Welling. In chiusura, viene proposta una riflessione sulle risorse offerte da internet attraverso l’esempio di Jason Evans, che dialoga direttamente con i suoi spettatori pubblicando ogni giorno per 24 ore una foto diversa sul suo sito.
Il quadro complessivo, indubbiamente eterogeneo e articolato, proposto da questa documentazione di ben 170 artisti – alcuni molto noti a livello internazionale e altri emergenti – ci testimonia dell’impatto decisivo che la fotografia esercita oggi nel sistema dell’arte contemporanea, come luogo privilegiato per esprimere un portato culturale e sociale.