È una commedia a sfondo sociale l’ultima prova di Ken Loach, che prosegue la proficua collaborazione con lo sceneggiatore Paul Laverty, per orchestrare una divertente stangata al milionario di turno. Satira lieve sugli inossidabili miti britannici (culto del whisky in primis), ben innestata nell’humus culturale di Glasgow, “The Angels’ Share” è una storia di caduta e di rinascita che si gioca su un inesauribile sense of humor e su un’attenta caratterizzazione dei personaggi. Galleria di volti più o meno sconosciuti, fra i quali spicca Roger Allam, nei panni di uno sgradevole amateur del buon whisky. La tensione di Loach al realismo traspare nell’essenzialità della messinscena e nell’adozione di una luce naturale che fa prevalere i bruni e i grigiastri in salsa british. Il film introduce una nuova svolta comica nel carnet del cineasta inglese, dopo il teso “Route Irish” (2010), garantendo qualche sorriso su una Croisette come sempre attraversata da drammi a tinte forti. Variazione sul tema “caduta e rinascita”, i cui ingredienti essenziali sono l’amicizia e una buona dose di furbizia. Il prologo passa in rassegna gli eroi della storia, una serie di ladruncoli sbadati, teppistelli e ubriaconi condannati a prestare un numero considerevole di ore al servizio della comunità. Al di là dell’ironia con la quale Loach tratteggia gli accidentati percorsi degli aspiranti criminali, traspare lo sguardo attento del regista verso le falle di un sistema sociale che non può eliminare solitudine, povertà ed emarginazione. Eppure, almeno per una volta, a tutti è offerta una chance. Per Robbie – giovanotto dall’infanzia tormentata, che ha ridotto in fin di vita un ignoto passante ed è comprensibilmente rifiutato dalla famiglia della fidanzata Leonie – l’occasione della vita ha colore dell’ambra e profumo di bosco. Un whisky rarissimo, custodito con cura nella cantina di un’antica famiglia di distillatori, aspetta soltanto di essere sottratto ai legittimi proprietari per arricchire le tasche di Robbie e soci. Folgorato sulla via del superalcolico più famoso del mondo, avidamente collezionato da milionari disposti a sborsare cifre da capogiro per assicurarsene qualche decilitro, Loach si diverte a descrivere l’anacronistico microcosmo di chi ha fatto del whisky una ragione di vita. A fare da Virgilio al cinesta è stato il cognato Angus McConnell, assiduo frequentatore di celebri cantine (come Bladnoch o Old Pulteney). Nell’idioma degli intenditori, “la parte degli Angeli” è quel whisky destinato a essere sprecato mentre si spilla, quell’anima che si dissolve nell’aria circostante e che non potrà essere recuperata. Per Loach la “parte degli Angeli” diventa l’amicizia disinteressata, la memoria del bene ricevuto, il donarsi senza fini egoistici che solo può sopperire alle falle di un sistema burocratico-sociale necessariamente imperfetto, garantendo, una volta tanto, l’happy end.
La parte degli angeli di Ken Loach: recensione
Ken Loach e lo scneggiatore Paul Laverty di nuovo insieme per una commedia a sfondo sociale