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Locarno 64 – Sette Opere di Misericordia di Gianluca e Massimiliano De Serio (Italia, 2011)

I gemelli De Serio, cortisti pluripremiati e allenati alla palestra della videoarte, affrontano con coraggio lodevole la sfida del primo lungometraggio, caricandosi sulle spalle ambizioni ed echi dal presente cinematografico e sociale che raramente si incontrano in un film di esordio. Raccontando il violento incontro tra un’immigrata moldava inasprita dai magri e disumani espedienti con cui sopravvive e un vecchio invalido sprofondato nelle piaghe di una squallida solitudine, infatti, sette Opere di Misericordia vuole, forse con troppa insistenza, muoversi nel contesto quel cinema europeo che, dai Dardenne alla nuova scuola romena, insegue il respiro religioso di dannazione e redenzione nel racconto naturalistico delle miserie contemporanee. Lo fa però evocando un remoto seme italiano a questa tradizione intrisa di umanesimo e cattolicesimo, riecheggiando fin dal titolo l’omonimo dipinto del Caravaggio, rappresentazione seminale delle opere di misericordia corporale attraverso le fisicità sofferenti e naturalistiche dei popolani dei rioni napoletani, trasfigurati qui nella caos particellare e fatiscente dei campi rom e della Torino periferica della Falchera. La scansione in capitoli cadenzata dai 7 atti, sempre collocata su un abrasivo rovescio dei vari precetti, rivela una Misericordia interessata e disperata fino al malevolo: Il passo del percorso salvifico della giovane Luminica, credibile nel bilico tra la dolcezza e la cattiveria selvatica offerto da Olimpia Melinte, è misurato dal faticoso districarsi tra crimini, mercanteggi, baratti e scambi di convenienza che le nozioni di “visitare gli infermi” o “dar da bere agli assetati” prendono di volta in volta. La redenzione giungerà dall’appiglio di due sguardi di empatia, unica forza a permettere una vaga e forse momentanea emersione dalla sporcizia morale di questa cammino quotidiano. Alla regia dei De Serio vanno riconosciuti diversi meriti, dalla capacità di maneggiare già meglio di molti alti il preziosissimo corpo-cicatrice di Roberto Herlitzka a quella di saper comunicare con buon rigore e limpidezza la portata dell’impianto di significati di cui si fa carico. Non mancano scivolate nella didascalia incandescente di alcuni sguardi in camera, o di certe solennità fuori misura rispetto alla vicende che vengono raccontate, ma non possono che trasparire da questo esordio l’impasto non sterile di riferimenti e una presa sicura sulle modalità e sui contenuti del proprio racconto, non a caso capaci già di muovere opinioni e ipotesi di premi in un contesto della qualità del concorso di Locarno. La speranza dell’emersione nel futuro dei due registi di una cifra più significativamente personale sembra, insomma, quanto mai concreta.

sette opere di misericordia, il trailer

 

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