La sessantaquattresima edizione del Festival di Locarno, come sempre contrappuntata dai completi bianchi e dal savoir faire internazionale del patron Olivier Père, si é divisa tra una piazza grande dove a farla da padrone sono state le fracassone invasioni aliene di Super 8, Attack the Block e Cowboy vs Aliens e un concorso quest’anno particolarmente votato ai toni intimisti e alle sensibilità venate di sociale. In entrambe le categorie (e nelle sezioni collaterali) l’occhio delle macchine da presa é spesso stato puntato su personaggi in via di formazione, ritratti di adolescenti giunti alla resa dei conti con l’età adulta, che si presenti sottoforma di un lutto, di un cuore spezzato, del superamento di un handicap o del confronto con un’invasione di extraterrestri. A spuntarla nella corsa ai Pardi, come spesso accade, é stato il compromesso: Abrir Puertas y Ventanas di Milagros Mumenthaler, la coproduzione tra Svizzera e Argentina che si é aggiudicato il Pardo d’oro assegnato dalla giuria presieduta da Paulo Branco e che comprendeva anche Louis Garrel e il nostro Guadagnino, é un garbato dramma familiare incentrato su tre giovani sorelle rimaste orfane e intrappolate nell’alveo della grande casa dellla nonna defunta. Tra qualche facile carineria e la grande prova del trio di protagoniste, il film mostra una regia vitale anche se un po’ immatura, ma in ogni caso capace di divertire ed emozionare differenti fasce di pubblico. Piuttosto misterioso il Pardo d’argento al bolso Tokio Koen di Shinji Aoyama, anch’esso racconto di formazione del giovane Koji tra amori accarezzati, fantasmi hakikomori di vecchi amici e pulsioni voyeuristiche: affresco visto e stravisto nella tradizione narrativa nipponica e aggravato da una messinscena piattissima e convenzionale. Decisamente più meritato (e in qualche modo piuttosto facile) il premio alla miglior regia per Adrian Sitaru, che nella sua convincente opera seconda Best Intentions (premiata anche per il protagonista Bogdan Dumitrache) sfoggia un virtuosistico intreccio tra piani sequenza e soggettive per descrivere le ansie post-europee dei trentenni romeni. A rappresentare tra i premiati la numerosa schiera di pellicole a sfondo sociale ecco Hashoter di Nadav Lapid, spaccato piuttosto convenzionale di un reparto di polizia israeliana. Niente da fare invrece per i pur meritevoli 7 Opere di Misericordia dei nostri De Serio, Crulic di Anca Damien e Vol Special di Fernand Melgar, tre prospettive differenti e stilisticamente pronunciate sull’universo dell’immigrazione in quella che dovrebbe essere la civile Europa. A secco di premi anche le dolenti divagazioni di El Año de El Tigre di Sebastian Lelio, ambientato tra le rovine del terremoto cileno del 2010, e del riflessivo The Loneliest Planet di Julia Loktev, penalizzati dai tempi compassati e dalla scelta di una rigorosa messa in scena realistica. La Menzione Speciale ad Un Amour de Jeunesse di Mia Hansen Love incornicia invece il trionfo del tema di questa edizione: l’educazione sentimentale della bella Camille (una Lola Creton già perfetta icona di candidi tremori adolescenziali), divisa tra il ritorno del primo amore ora diventato passione fedifraga e l’innamoramento intellettuale verso un maturo architetto e l’architettura stessa, viene dipinta dalla giovane regista francese con anticati e consapevoli toni rohmeriani e dolce frivolezza, confermando un talento non trascurabile nel campo minato del racconto intimista. Il passaggio all’età adulta torna anche tra i vincitori della sezione collaterale Cineasti del Presente (una sorta di Orizzonti in versione Svizzera), dove ha trionfato L’Estate di Giacomo di Andrea Comodin, racconto lirico e inondato di immagini di due pomeriggi estivi trascorsi sul Tagliamento da un ragazzo sordo, tra spensieratezze adolescenziali, approcci amorosi e sorridenti fughe dai disagi dell’handicap. Summa piuttosto esauriente di un Festival che si conferma validissima lente di ingrandimento su un cinema giovane, vitale e in cerca di una conferma internazionale per essere riconosciuto come adulto.