Adrian Sitaru aveva già destato interesse durante le Giornate degli Autori 2008, sfoggiando un rigore tangibile anche se a tratti pretenzioso nelle lunghe soggettive a mano del suo lungometraggio di esordio, Pescuit Sportiv, triangolo disturbante tra una prostituta e una coppietta in gita alla ricerca di serenità sentimentale. Una Romania “europea”, lontana da drammi altisonanti e scandalose miserie, ma proprio per questo soggetta a idiosincrasie, tremori e paura di rimpiombare nello sprofondo dello stereotipo slavo. La stessa tensione minimalista pervade questo Best Intentions, narrazione spicciola del weekend di passione di un trentenne romeno che torna da Bucarest al paesello natio, tra parenti folkloristici e vecchi rancori, per assistere la madre che ha subito un colpo apoplettico. La paura della mala sanità lo spinge a volerla far ricoverare nella capitale o a Cluj, nonostante la situazione sia meno grave di quanto si temesse all’inizio, ma l’eccesso di premura causerà solo ulteriori problemi e incomprensioni. Nelle piccole crepe di una storiella apparentemente senza peso (e dal respiro più adatto ad un corto) riesce comunque a trasparire l’inquietudine di una generazione di giovani romeni incapaci di fidarsi del benessere acquisito, diffidenti verso il mondo che i propri genitori sembrano essersi lasciati alle spalle e verso le istituzioni. In questa ammissione di minuta paranoia, risulta ancora più evidente come Sitaru lavori nel solco dell’opera di un “fratello maggiore” come Cristi Puiu, con cui si può dire condivida l’angolo più ipocondriaco e ironico della nouvelle vague romena, insieme alla predilezione per l’ondeggiare inquieto delle inquadrature, ma del quale non possiede ancora la capacità di fornire forza dirompente e simbolica a situazioni e personaggi narrati. Resta comunque notevole la scioltezza e la precisione con cui riesce a dipanare il proprio sguardo lungo la sceneggiatura: una trentina d’inquadrature in tutto, tra piani sequenza e soggettive, gestiti con buon ritmo e lieve talento coreografico e la capacità di trarre da poche battute distratte o dalla goffaggine di qualche gesto quel dolceamaro e poco spiegabile impasto tra dramma e commedia che è la vita quotidiana.