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“Magnifica Presenza”, l’ultima fatica di Ozpetek tra finzione e realtà: la salvezza è nel coltivare le proprie passioni.

Esce domani,distribuito in 400 copie dalla 01 Distribution, Magnifica Presenza di Ferzan Ozpetek. A presentarlo alla stampa romana, oltre al regista turco e alla co-sceneggiatrice Federica Pontremoli, il protagonista Elio Germano e tutti gli altri membri del cast (Paola Minaccioni, Margherita Buy, Vittoria Puccini, Beppe Fiorello, Anna Proclemer, Andrea Bosca, Claudia Potenza, Ambrogio Maestri e Matteo Savino) il produttore Domenico Procacci e Paolo Del Brocco di RaiCinema.

Da cosa nasce questa sua nuova commedia drammatica corale e in che modo si inserisce nella sua ricerca di autore e nella sua filmografia.

Ferzan Ozpetek: Lo spunto è reale. Circa 18 anni fa un amico mi raccontò di aver visto una donna vestita in modo strano in un appartamento di un palazzo, vicino casa mia, che era stato bombardato durante la guerra. Alcune anziane donne del quartiere poi ci hanno confermato che in quel posto durante la Seconda Guerra Mondiale c’erano state una madre e una figlia che si erano suicidate gettandosi nel vuoto. I loro ricordi somigliavano moltissimo alle cose viste  e riferite dal mio amico. L’anno scorso mi sono ricordato di questa storia e dopo aver ricevuto il convinto consenso di Domenico Procacci ho iniziato a sceneggiarla insieme a Federica Pontremoli. Credo si tratti del mio film più complesso,poiché parla dei massimi sistemi della vita con il tono della commedia. E’ la prima volta che affronto in una storia il concetto di paura. Magnifica Presenza racconta una rinascita emotiva in cui la forza del sentimento e dell’istinto supera le paure più profonde, sia razionali che irrazionali, per trovare una risposta nell’amore, nell’amicizia e nella solidarietà. Questa opera mi ha inoltre permesso di affrontare e sviluppare certe mie idee sulla vita che non finisce che mi seguivano da tempo: ne Il bagno turco, quando moriva Alessandro Gasmann si vedeva un’ombra sulla statuetta; ne La finestra di fronte  Massimo Girotti guardava le persone che ballavano insieme ai morti; in Cuore Sacro c’era la bambina che moriva e la protagonista la rivedeva in una casa; Mine Vaganti  proponeva un finale con i vivi e i morti che danzavano insieme. La mia è una specie di fissazione, una mania.

Il suo film mi sembra un omaggio allo spirito teatrale e al potere della finzione. In tal senso quanto ha tenuto presente i “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello?

Ferzan Ozpetek: Moltissimo. Loro stessi dicono: “Finzione,finzione ma con la finzione la realtà”. Inoltre da sceneggiatura il film doveva terminare in maniera diversa, in casa. Una notte mi è venuta l’idea di far salire i personaggi-fantasmi sul tram 8 e farli condurre dal protagonista al Teatro Valle. Ho pensato che è ciò che Pirandello avrebbe fatto: farli entrare nuovamente nel loro vecchio teatro per poter ancora una volta far provare l’ebbrezza alla Compagnia Apollonio di recitare su un palcoscenico. Che poi fu proprio lo stesso palcoscenico in cui Pirandello mise in scena per la prima volta nel 1921 i Sei personaggi in cerca d’autore.

Federica Pontremoli: Ad un certo punto  ci siamo trovati a dover decidere lo spettacolo che dovevano mettere in scena i nostri fantasmi e abbiamo percorso la storia del teatro per capire quale testo sarebbe stato più idoneo sia per il nostro film sia per il periodo storico in cui aveva operato la loro compagnia teatrale. In realtà alla fine abbiamo deciso di non specificare quale spettacolo sia, ma tutto il film ha dei chiari e specifici rimandi a Pirandello, come per esempio il gioco degli specchi tra presente e passato che si riflette in quello tra finzione e realtà tanto che ad un certo punto si fa fatica a distinguere chi è attore da chi non lo è, chi è reale e chi invece rappresenta solo la finzione. Vi è un continuo rimando al mestiere dell’attore e a quanto un attore debba mettere di vero nella finzione e viceversa.

Perché ha scelto Elio Germano e come si è trovato con lui?

Ferzan Ozpetek: E’ lui la ‘magnifica presenza’, un attore eccezionale con un talento incredibile. Per me si è trattato di un vero e proprio innamoramento. Un regista si innamora sempre del suo interprete, ma non era mai capitato che mi accadesse con una tale intensità come con Elio. Il personaggio di Pietro grazie al suo stupore sembra che abbia sempre gli occhi più grandi. Nel girare una scena a lui sono serviti solo pochi minuti a letto per sembrare di aver dormito non meno di 10 ore. E’ un attore che ha segnato molto il mio sguardo verso il cinema e vorrei in futuro girare con lui tanti altri film. Come è mia abitudine però oltre al protagonista ho coinvolto pienamente nel film tutti gli altri interpreti. Quando interagisci con gli attori è come se avessi tanti figli, sono creature strane, di un altro pianeta, più difficili dei bambini, devi far sentire ad ognuno di loro il tuo amore e la tua attenzione. Allo stesso modo ho cercato come sempre di essere propositivo e ricettivo con tutta la troupe, mi piace l’energia, l’atmosfera che viene fuori da un progetto che tutti anche creativamente sentono proprio. Mi piace che loro dicano “il nostro film” e non “il film di Ferzan”.

Elio, in questo film ti sei misurato con un personaggio completamente diverso da quelli interpretati finora. Raccontaci quanto ha contato per te questa esperienza, chi è Pietro Pontechievello e come hai vissuto il set.

Elio Germano: Ferzan mi ha offerto un viaggio bellissimo e la possibilità di confrontarmi con un ruolo molto interessante e insolito rispetto a quelli che mi offrono abitualmente, un’opportunità diversa libera dai clichè del già visto. Essendo poi un regista che ama gli attori in maniera viscerale abbiamo avuto modo di fare lunghe e accurate letture del copione e di sviscerare il personaggio in tutte le possibili sfaccettature. Pietro è diventato una sorta di ‘persona’. Ci interrogavamo su come avrebbe reagito a situazioni che andavano al di là del film. Pietro è un tipo sensibile e tutti quelli che incontra nella vita tendono ad approfittarsi un po’ di lui, c’è un meccanismo narrativo per cui si ritrova come una sorta di Pinocchio in mezzo a personaggi particolari che cercano in lui qualcosa per risolvere i loro casi privati e così attraverso la sua solitudine e la sua alienazione viene raccontata una società che accetta solo gente omologata, dove è difficile integrarsi. E’ proprio questo uno dei motivi per cui mi ha colpito da subito la sceneggiatura: secondo me è anche un film sulla rivendicazione, sull’orgoglio della debolezza e della diversità. Viviamo in un mondo in cui spesso siamo costretti a nascondere tutte le nostre emozioni e sensazioni. Tendiamo spesso a calpestare l’aspetto più fragile della nostra vita mettendolo sottoterra, a nasconderlo, perché è poco conveniente e ad interpretare dei ruoli, a indossare delle maschere per funzionare di più, perché la fragilità e le incertezze spesso non vengono accettate da questo tipo di società. Il messaggio finale a mio avviso è proprio questo: la salvezza è nel coltivare le proprie passioni.

Come vi siete trovati sul set con Ozpetek?

Anna Proclemer: Io sono un pigmeo del cinema, ho pochissima esperienza perchè ho lavorato sempre a teatro, ma Ferzan è davvero innamorato degli attori e io mi sono innamorata di lui. Non amo per niente i registi teatrali per esempio, e non vedo l’ora che escano di scena per lasciarci liberi di stare soli con il pubblico, ma al cinema è diverso e con lui mi sono sentita amata, mi sono ‘accoccolata’ tra le sue braccia. Non gli perdono però di avermi fatta sembrare più vecchia di quello che sono! Mi è dispiaciuto non lavorare con gli altri attori nel cast, poiché il mio personaggio interagisce solo con quello di Elio.

Margherita Buy:  Mi sono sempre trovata bene a lavorare con lui, anche se il nostro rapporto è un po’ burrascoso e su questo set temeva potessi rovinare la parrucca! E’ stato suggestivo indossare quegli abiti così ricercati e sofisticati, parrucca inclusa.

Paola Minaccioni: Ferzan ha cura di ogni dettaglio e come attore ti senti dentro ad una vera specialità che lui sta amorevolmente cucinando. Forse è per questo che in tutti i suoi film non manca mai il riferimento gastronomico. Poi io ho lavorato praticamente sempre con Elio, questo ‘mostro’ e mi sono trovata benissimo.

 

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