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Matthew Modine, l’incontro in Piazza Strozzi – Firenze 28-07-2010

Matthew Modine, bravo attore californiano amato da Robert Altman e Alan Parker, direttore creativo della New York Film Academy ha intrattenuto il pubblico fiorentino dialogando con Manuela Cerri Goren (Velvet/ La Repubblica) ripercorrendo le tappe fondamentali della sua vita e della sua carriera, soffermandosi sulla sua interpretazione del soldato Jocker in Full Metal Jacket (1987) il capolavoro di Stanley Kubrick, del quale è seguita una proiezione per il pubblico presente in Piazza Strozzi a Firenze lo scorso 28 luglio. Modine appare un bel ragazzo invecchiato, cordiale e di grande spessore culturale; nel parlare del suo lavoro cita spesso colleghi che stima e con i quali non ha ancora lavorato. Un artista curioso, ultimamente defilato dal cinema degli studios ma con idee e progetti interessanti, un attore che ha sempre approfondito con studi e letture i ruoli che ha interpretato e che ammette candidamente le difficoltà che ha incontrato con alcuni registi e gli alti e i bassi i una carriera trentennale.

Come è diventato un attore?

Il cinema ma ha sempre affascinato. Sono cresciuto guardando film perché mio padre era un manager di Drive in e io me ne stavo seduto in macchina a guardare film praticamente sempre. Poi sono andato a New York e mi sono trovato un lavoro come chef in un ristorante mentre studiavo recitazione con Stella Adler. Credo che trovare un buon maestro sia un passo fondamentale ed io in questo sono stato fortunato, ricordo Stella che entrava in classe e ci diceva: «Se siete qui perché io vi insegni ad essere star del cinema avete sbagliato insegnante, io voglio insegnarvi per prima cosa ad essere dei buoni esseri umani.»

Il suo primo film è stato Streamers (1983) di Robert Altman, come lo ricorda?

Come Full Metal Jacket anche questo è un film sul Vietnam; ebbe grande successo e mi permise di assistere per la prima volta al Festival del Cinema di Venezia dove venni premiato con la Coppa Volpi, fu incredibile.

Nel 1984 ha recitato in Birdy di Alan Parker, altro film sul Vietnam e sui suoi effetti sulla mente umana. Un film indubbiamente difficile, con un co-protagonisa come Nicholas Cage, le musiche di Peter Gabriel e la direzione di Parker. Fu fisicamente impegnativo?

Fu difficilissimo ma molto stimolante; ho adorato recitare a fianco di Nicholas Cage e Peter Gabriel creò una splendida colona sonora capace di dialogare col mio personaggio. Alan Parker è un regista bravissimo ma molto severo, mi spaventava quando mi abbaiava contro in inglese. Birdy è un film splendido e davvero importante, chi non lo ha visto dovrebbe farlo. Il mio personaggio sarebbe dovuto morire ma poi Alan Parker cambiò idea riscrivendo un finale quasi ironico.

Crazy for you (1985) altro grande successo che prende il titolo dalla canzone che Madonna scrisse e interpretò per il film. Un film un po’ alla Rocky dove il suo personaggio era un lottatore di Wrestling.

Il Wrestling fu terribile: la fatica fisica, il sudore e quegli orrendi costumini…. Mi avevano parlato di Madonna che all’epoca doveva ancora sfondare, mi avevano detto che era una che prometteva bene e che sarebbe diventata una star, ma all’epoca, con tutto quel trucco, trovavo che assomigliasse a Boy George (ride, ndr). L’anno dopo ero a Roma per un incontro con i fratelli Taviani e con mia moglie vedemmo il poster del film con il titolo della canzone, un gigantografia di Madonna e scritto piccolo in basso il mio nome. Crazy for you era diventato il film di Madonna.

Nell’ 88 ha recitato a fianco di Michelle Pfeiffer in una commedia diretta da Jonathan Demme: Una vedova allegra….ma non troppo, come è stato lavorare con Demme?

Jonathan è un uomo divertente e molto accessibile, sul set gli piace comunicare con tutti e chiedere consigli e pareri ai suoi attori se una scena può risultare più o meno divertente. È un ottimo film con un buon cast.

America Oggi, un film corale; 9 racconti originali di Raymond Carver cuciti insieme dal grande Robert Altman. La scena della quale vediamo uno spezzone questa sera è quella in cui il suo personaggio, un cinico medico di Los Angeles, ha un durissimo confronto con la moglie, una pittrice interpretata da Julianne Moore che ha avuto una relazione con un amico di famiglia. È vero che nelle intenzioni originali di Altman lei doveva rincorrere sua moglie per la stanza invece di stare seduto su una sedia come vediamo nel film e che questa modifica fu una sua idea?

Sì, è vero. Leggendo il copione avevo immaginato che quei due avessero già avuto molte volte questa conversazione, ma che in quella particolare occasione il marito avrebbe finalmente saputo la verità. Robert accolse questo mio suggerimento; fu un segno di fiducia, lui si fidava dei suoi attori. Io ho lavorato con Altman tre volte, due al cinema e una in teatro. Eravamo amici, ricordo che arrivavo in teatro per le prove e lui mi diceva “Hey Modine, cosa facciamo oggi? Lo stesso Kubrick mi chiedeva spesso di Altman, era incuriosito dal fatto che ci avessi lavorato. Robert aveva una visione particolare del cinema che ben si riassume nell’uso che lui faceva dello zoom non per vedere più vicino, ma per ascoltare e capire meglio cosa dicevano i suoi personaggi.

Lei ha interpretato poi un ruolo brillante in Corsari (1995) a fianco di Geena Davis.

Un film che costò moltissimo e incassò davvero poco; in un certo senso ha anticipato la fortuna dei film sui pirati. Il regista, Renny Harlin, era il marito di Geena a quel tempo; sono entrambi persone deliziose ma se c’è una lezione da imparare da un flop del genere è che, a mio avviso, non si dovrebbe mai dirigere la propria moglie!

Veniamo alla sua partecipazione ad un altro film corale di qualche anno fa: Le Divorce di James Ivory del 2003, come ricorda l’esperienza?

La mia intenzione iniziale era quella di entrare in contatto con Ismail Merchant, il partner storico di James Ivory che doveva produrre un progetto che mi stava molto a cuore, ovvero una versione cinematografica del romanzo di Aldous Huxley Le mani di Jackob. Purtroppo Merchant è scomparso prima che il progetto andasse in porto. Il mio personaggio in Le Divorce è piuttosto marginale e davvero inquietante, ma importante per lo svolgersi della trama.

Facciamo un salto indietro: 1987, Full Metal Jacket. Il penultimo film realizzato da Stanley Kubrick tratto dal romanzo Nato per uccidere di Gustav Hasford. Lei ha pubblicato un libro fotografico sulla sua esperienza sul set durata per più di un anno: Full Metal Jacket Diary.

Ho trascorso due anni in Inghilterra per le riprese. Kubrick non si spostava e girava tutto negli studios inglesi; c’era un tempo infernale, anche durante l’estate non ha fatto altro che piovere. Il modo migliore per conoscere Stanley era vederlo giocare a scacchi; era un mago, io non ci sapevo giocare e me li insegnò.

Nel libro lei scrive: «Kubrick non ti dirigeva in modo tradizionale, cioè non ti diceva cosa dovevi fare.»

Stanley conosceva alla perfezione l’arte della recitazione avendo studiato a lungo le teorie Stanislawskijane. Il grado di perfezione che richiedeva ai suoi attori lo otteneva con i suoi leggendari numerosissimi ciack per una sola scena che portarono Jack Nicholson all’esasperazione ma ad uno stato di grazia in Shining. Gli attori sul set sono un po’ come dei bambini, inizialmente possono sembrare goffi e non a loro agio, è con una ripetizione sistematica che per Kubrick si arrivava ad una sicurezza che permetteva di non sbagliare. Detto questo è però innegabile che ci siano attori che sembrano “nati pronti”, penso ad Anna Magnani e Marcello Mastroianni. Credo di aver compreso pienamente il “metodo Kubrick” anni dopo Full Metal Jacket, leggendo dei saggi di Marvin Lee Minsky che citava spesso 2001 Odissea nello Spazio. Quando ho avuto modo di incontrarlo gliene ho chiesto il motivo e lui mi ha detto che Kubrick era un suo buon amico e che aveva collaborato alla scrittura del film.

Lei scrive che recitare è come giocare a tennis.

Certo, si è più bravi se si incontra un buon partner. Se io gioco con un campione non posso che migliorarmi, e così nella recitazione lavorare con un tuo collega più bravo ti migliora. Mi viene in mente una scena del film Il Dubbio, nella quale Maryl Streep dialoga con Viola Davis, sono entrambe bravissime e lo sono così tanto proprio perché sono insieme.

Con chi le piacerebbe lavorare?

Pacino, De Niro, Christopher Nolan, Catherine Bigelow. Avrei tanto voluto lavorare con Heath Ledger. Prima di lasciarvi alla visione di Full Metal Jacket vorrei aggiungere che la grande lezione umana datami da Kubrick è stata imparare a guardarmi allo specchio e a riconoscermi. Il suo intento non era di fare un film hollywoodiano, ma indagare una realtà profonda e sconcertante e riflettere su una soluzione intelligente alla violenza.

Redazione IE Cinema
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