domenica, Dicembre 22, 2024

Michelangelo Antonioni. L’avventura. Di Federico Vitella (Lindau, 2010)

Il 1960 si rivela un’annata eccezionale per il cinema italiano: se Federico Fellini vince la Palma d’oro con ‘La dolce vita’ (e Luchino Visconti gira ‘Rocco e i suoi fratelli’, sulla soglia fra neorealismo e melodramma), Michelangelo Antonioni approda a Cannes con quello che Roberto Rossellini non esitò a definire «il più bel film mai presentato a un festival». È ‘L’avventura’, acutissima fotografia in controluce della borghesia del tempo, stretta fra l’impellente progresso economico e una crisi interiore che sfocia nella perenne vacuità dei sentimenti, film che, a tanti anni di distanza, conserva ancora intatto il suo fascino segreto ed enigmatico, configurandosi quale imprescindibile punto di svolta nella produzione del regista ferrarese. Antonioni girò ‘L’avventura’, primo film della ‘trilogia dell’incomunicabilità’ (ma, considerando ‘Deserto rosso’, i film sono quattro), a tre anni di distanza da ‘Il Grido’ e, parafrasando la lungimirante annotazione di Morando Morandini, in un colpo solo il cinema italiano fece un balzo in avanti di dieci anni. Eppure, malgrado la bibliografia dedicata al regista sia sterminata, ancora esigui risultano i contributi teorici che mirano ad illuminare il film nei suoi molteplici aspetti, attraverso una considerazione attenta delle complesse dinamiche produttive e, soprattutto, un’accurata analisi degli elementi tematici e stilistici che la caratterizzarono fin da subito come un’opera di rottura incapace di qualsiasi mediazione, accolta originariamente dal pubblico con un misto di ostilità e sarcasmo. Proprio per colmare questa lacuna risulta prezioso il volume di Federico Vitella, ‘Michelangelo Antonioni. L’avventura’ (Lindau), che si propone di analizzare il film da differenti punti di vista, scomponendolo analiticamente per metterne in luce l’affascinante policromia e offrirne poi affascinanti ipotesi interpretative. Nella prima parte, in poche pagine di agile consultazione, si condensa la scansione rigorosa degli aspetti contenutistici, indispensabile per ricostruire la struttura stratificata dell’intreccio e individuare i punti di svolta della vicenda che, attraverso una ripartizione attenta del materiale narrativo sulla base di un impianto perfettamente strutturato, restituisce ad ogni visione un’impressione di ineffabile immediatezza. Il soggetto del film, fra esperienze autobiografiche e rielaborazioni di progetti precedenti, prese forma già nell’estate del 1957, ma Antonioni faticò non poco per trovare i finanziamenti necessari a tramutarlo in un film, scontrandosi con la miopia di produttori poco inclini a percorrere sentieri innovativi, ma dallo scarso appeal commerciale. Federico Vitella dedica ampio spazio al susseguirsi delle varie fasi della lavorazione, senza trascurare i ripensamenti nella caratterizzazione dei personaggi principali (con i quali Antonioni riprende il filo del discorso cominciato esattamente dieci anni prima, con il film d’esordio ‘Cronaca di un amore’, che già declinava il tema della crisi della coppia e della borghesia nell’Italia del dopoguerra) e gli enormi problemi incontrati durante le riprese, in cui la scarsità di fondi e l’avversità degli agenti atmosferici sull’isola (specchio di una natura atavica e ostile in cui i personaggi, borghesi in vacanza, sembrano perdere ogni orientamento), rischiarono più volte di far naufragare il progetto (è lo stesso Antonioni a raccontare le travagliate vicende in una sorta di diario di bordo, riportato nel volume di Vittorio Giacci, ‘L’Avventura ovvero l’isola che c’è’). ‘L’avventura’ è certamente un film anomalo, che sfugge ai canoni del tempo e gioca con i meccanismi del film di genere, decostruendoli dall’interno e frustrando di continuo le aspettative dello spettatore, attraverso una serie di strumenti semantici e sintattici che svolgono una funzione costantemente disorientante: basti pensare al fatto che Anna, presentata inizialmente come la protagonista del film, scompare dopo aver dato qualche segno di instabilità emotiva. Sembrerebbe l’incipit di un giallo (‘giallo alla rovescia’ lo definì lo stesso Antonioni), e invece il mistero non viene svelato, mentre tutti piano piano sembrano dimenticarsene, nel proseguimento apparente di una ricerca che sembra perdere sempre più consistenza (nell’Appendice, Vitella ci regala due spezzoni inediti della sceneggiatura originale, in uno dei quali il mistero sarebbe stato risolto. Antonioni, per nostra fortuna, non la girò mai). Il libro ci guida in questo viaggio dalla storia al mito, offrendoci gli appigli fondamentali per comprendere la genesi del progetto ed esaminare le scelte stilistiche che permisero ad Antonioni di realizzare una perfetta fusione tra contenuto e forma: dall’emergere prepotente del paesaggio sulle figure umane, attraverso ampie panoramiche, ai falsi raccordi che impediscono la localizzazione spaziale dei personaggi, dagli scavalcamenti di campo che infrangono le regole del linguaggio classico alle false soggettive che non consentano l’identificazione del punto di vista. Come spesso accade nel cinema di Antonioni, è la donna, più sensibile e riflessiva, a farsi carico dei drammi e delle angosce dell’esistenza (Anna, che sparisce nel nulla di un’isola remota) o a fungere da elemento catalizzatore attorno a cui tutto si mette in movimento (Claudia, che non vuole rinunciare ad una risolutezza morale che la contrappone al vacuo e ondivago Sandro) e ‘L’avventura’ è anche il film che inaugura il sodalizio fra Antonioni e Monica Vitti, che il regista aveva conosciuto su set de ‘Il grido’ (era la doppiatrice della sguaiata benzinaia interpretata da Dorian Gray) e che diverrà la musa ispiratrice dei suoi film successivi. Antidiva irresistibilmente estranea agli schemi delle bellezze del tempo e fino a quel momento relegata in ruoli da caratterista in film di second’ordine, Monica Vitti diverrà la donna antonioniana per eccellenza, al tempo stesso vittima e coscienza critica di un presente sempre più disordinato, restituendoci l’immagine in movimento del regista che, come scrisse Alberto Moravia, sentiva «con più vivacità la crisi del rapporto con il reale che è propria all’arte e alla vita moderna»

Sofia Bonicalzi
Sofia Bonicalzi
Sofia Bonicalzi è nata a Milano nel 1987. Laureatasi in filosofia nel 2009 è da sempre grande appassionata di cinema e di letteratura. Dal 2010, in seguito alla partecipazione a workshop e seminari, collabora con alcune testate on line.

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