La retrospettiva su Jim Jarmusch presentata al Milano Film Festival ha portato per la prima volta in una sala italiana The Limits of Control, ultimo film del cineasta americano sul quale più di un anno fa la distribuzione nazionale ha glissato, probabilmente per l’assenza di una star nel ruolo principale. Nel consueto carosello di camei celebri (Luis Tosar, Gael Garcia Bernal, Bill Murray, Tilda Swinton e John Hurt quelli degni di nota), le fattezze del protagonista sono infatti affidate ad Isaach de Bankolè (N.D.R. notevole come “Le Boxeur” in White Material di Claire Denis, interpretato lo stesso anno e già in Ghost Dog nella parte di Raymond) che presta la propria fisicità asciutta e spigolosa ad una ieratica figura di killer professionista che riecheggia in parte il Ghost Dog di Whitaker. Costruito attorno alle peregrinazioni di questo misterioso automa in lamè, impegnato nel territorio spagnolo da un indefinito e segretissimo piano criminale, The Limits of Control è un on the road metafisico in pieno stile Jarmusch, impregnato dello stesso gusto per la narrazione dispersa ed enigmatica di opere come Dead Man, Broken Flowers e Coffee & Cigarettes, intessuta sulle variegate eccentricità di personaggi che si sfiorano l’una con l’altra fra i tavolini da caffè o sui vagoni di un treno. Tra evocazioni non casuali di Tarkovskij e Kaurismaki, la parabola della narrazione si adegua al lento alzarsi di una marea di significanti in apparenza oscuri, collegati l’uno all’altro da un impalpabile filo rosso di linguaggi e relazioni semantiche: i gesti lenti e calcolati del tai-chi praticato dal killer solitario riecheggiano nelle volute delle pale eoliche che punteggiano il paesaggio iberico, e allo stesso modo i paesaggi si trasfigurano in quadri, dai quadri si materializzano personaggi che si fanno a loro effige su locandine, ciondoli e scatole di fiammiferi. Una minuziosa mitologia segnica composta di piccoli oggetti, mezze frasi e messaggi in codice che si svuotano e riempiono di senso ad intermittenza, componendo una fitta trama di rimandi sottili tra le varie scene che sostiene in pregevole equilibrio un racconto appena tratteggiato e per questo suggestivo. Identificati da nomi comuni come Nudo, Chitarra e Molecole, i corpi attoriali si fanno concetto e si aggirano in composizioni geometriche al limite dell’astrazione, mai così maniacalmente curate in un film di Jarmusch, che chiamano a gran voce la propria filiazione dalla pittura cubista e metafisica. In definitiva, uno dei lavori più compiuti del regista dell’Illinois, forse privo proprio della sghemba vitalità picaresca dei suoi film più famosi, ma ad ogni modo coerente alla propria struttura e perfettamente riuscito nei suoi intenti.
Milano Film Festival -The Limits of Control di Jim Jarmusch ( USA, 2009)
La retrospettiva su Jim Jarmusch presentata al Milano Film Festival ha portato per la prima volta in una sala italiana The Limits of Control, ultimo film del cineasta americano sul quale più di un anno fa la distribuzione nazionale ha glissato