La vetrina luccicante degli Oscar, si sa, è più spesso utile a capire quali siano le pellicole che meglio hanno saputo utilizzare il personale delle public relations piuttosto che a tracciare un bilancio coerente della cinematografia annuale, che sia pure quella strettamente hollywoodiana. Ma se una curiosa anomalia riesce ad aprirsi la strada tra le pieghe delle nomination, è probabile che un piccolo flusso controcorrente sia diventato forte abbastanza da mischiarsi ai flutti impetuosi del mainstream. Quest’anno il compito di riservare sorprese è toccato alle candidature per il miglior lungometraggio di animazione, permettendoci di sollevare alcune riflessioni interessanti sulla bagarre nelle prime posizione del cinema d’animazione commerciale. La messe disegnata passata per le sale (americane) nel 2009 è stata ottima e abbondante, tanto da spingere L’Academy ad ampliare da tre a cinque il numero dei candidati al premio. Nonostante questo, è rimasto fuori dal lotto il gruppetto di diretti inseguitori della Pixar, ovvero Dreamworks e Blue Sky, a cui si è affiancata anche la Sony con il pur valido esordio Piovono Polpette. Questo perché il flusso compatto dell’animazione che vende sembra essersi frazionato in un bivio, dopo qualche anno di dominio assoluto delle volumetrie tridimensionali. Come è sempre accaduto nelle arti figurative, nel momento in cui una corrente raggiunge il picco di espressione e popolarità, si affermano forme di resistenza ad essa che si difendono guardando nella direzione diametralmente opposta. Così nell’anno in cui le profondità scopiche della grafica computerizzata si sono ulteriormente espanse cavalcando la revanche della proiezione 3D guidata da Cameron, hanno fatto breccia ai piani alti anche alcuni alfieri del ritorno alla pagina illustrata, del grande schermo come affresco piuttosto che come finestra aperta , insomma della vecchia cara bidimensionalità (che, intendiamoci, non ha mai rischiato di sparire del tutto, gelosamente difesa da maestri orientali come Miyazaki e da nuove leve più fumettistiche come la Satrapi e Folman). A gareggiare con il prevedibile trionfatore pixariano Up, con i suoi impressionanti algoritmi fotorealistici e i suoi cieli senza confini, c’era in effetti La Principessa e il Ranocchio, ritorno della Disney all’animazione tradizionale, quasi una ripicca di affermazione identitaria nel rapporto di odio-amore con la casa di Lasseter. Poco più sotto si è svolto uno scontro sul terreno del passo-uno , tecnica che era sinonimo di profondità e superfici realistiche ben prima dell’animazione in CGI e che agli Oscar è stata rappresentata da due produzioni significativamente orientate in direzioni antitetiche: laddove la Coraline di Selick celebra il connubio tra computer e plastilina, introducendo cunicoli e quinte oltre cui spiare con un paio di occhialini, il neofita Anderson inserisce nel suo Mr Fox il gusto per il “film-album illustrato”, ricorrendo in molti casi a campi lunghissimi in cui le sue marionette diventano vere e proprie figurine in movimento, che si dimenano appiattite su lavagnette e arazzi colorati. Tra queste dicotomie si è però insinuato un vero e proprio outsider, che con una nomination insperata ha la possibilità di amplificare notevolmente la propagazione del suo messaggio: The Secret of Kells, dell’irlandese Tomm Moore, è infatti un vero e proprio manifesto programmatico della seconda dimensione, che trasforma il ritorno al passato in avanguardia come solo le opere di rottura sanno fare. Come faceva già Sita Sings the Blues (passato al Future Film Festival di Bologna nel 2009 e visibile per intero su Youtube) con la tradizione dei manoscritti indiani, The Secret of Kells recupera gli stilemi di un arte che ha raggiunto il massimo splendore ben prima che potesse essere condizionata da tentazioni prospettiche. La trama del film gira attorno Libro di Kells, datato 800 d.C, capolavoro assoluto della miniatura insulare conservato al Trinity College di Dublino. Per narrare la storia di Brendan, giovane amanuense che dovrà completare il libro, Moore decide di abbattere qualunque assonometria e illusione di profondità per fare dell’intero schermo una pagina miniata: la percezione delle distanze è affidata quasi esclusivamente alle proporzioni, i paesaggi si dipanano livellati lungo tutta l’ampiezza del fotogramma e in essi ogni elemento si fa greca, cornice, fregio, disponendosi attorno a personaggi dai lineamenti stilizzati e geometrici (uno stile astratto simile a quello delle produzioni Cartoon Network, seppur a suo modo più radicale). Il miracolo compiuto da Moore è quello di rendere tali elementi perfettamente inseriti nella realtà rappresentata, senza che la loro componente decorativa disturbi fluidità e comprensione dell’opera , trovando anzi proprio in essa originali soluzioni narrative. La storia del piccolo monaco, con la sua morale sull’importanza di lasciare che la cultura sia libera di diffondersi, scorre chiara e divertente, mentre ogni scena riserva trovate creative nella composizione grafica dell’inquadratura (che raggiungono un apice entusiasmante durante il viaggio di Brendan nella foresta). La complessità dei riferimenti visivi di Moore non si ferma quindi alla ripetizione degli stilemi della miniatura: addirittura, la sequenza della battaglia di Brendan con il mostro Crom si rifa chiaramente alle dinamiche di videogiochi vintage come Snake e Qix, simboli a loro modo di un altro massiccio riflusso bidimensionale, ovvero quello degli arcade games, che sotto le nuove forme di giochi da cellulare, da consolle portatile o da pausa-lavoro su internet, si stanno ormai impadronendo degli interstizi lasciati liberi dai colossali e sempre più realistici videogame in 3D per i potenti motori grafici di consolle e PC Se The Secret of Kells, con la sua presa di posizione radicale, è riuscito a guadagnarsi questo piccolo posto al sole, è probabile che il sentiero dell’illustrazione “tradizionale” abbia ancora la possibilità di rimanere battuto in un futuro di’intrattenimento utraimmersivo. Ora quello che ci si augura è che questo gioiellino venga preso in considerazione dai distributori italiani.
The secret of Kells – Trailer
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Sita Sings The Blues, versione integrale (soto licenza creative commons)
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