Oskar è un ragazzo particolare: dotato di un’intelligenza incredibile, si definisce inventore ed esploratore amatoriale, ma ha paura di tante cose, come prendere la metro nella sua città, New York, e in generale di tutto ciò che è estraneo al suo mondo. Ha un compito da portare a termine e lo deve fare proprio per suo padre, una delle vittime dell’11 settembre. Questo è il protagonista dell’ultimo film di Stephen Daldry, Extremely Loud and Incredibly Close, presentato fuori concorso alla scorsa Berlinale, candidato all’Oscar 2012 come miglior film e tratto da un romanzo di Jonathan Safran Foer. Daldry segue le conseguenze di un trauma all’indomani della morte del padre di Oskar; il ragazzo si confida solo con sua nonna, si chiude tra le stanze della sua mente e costruisce un rifugio nel suo armadio, dove per qualche minuto al giorno riascolta i messaggi della segreteria telefonica che suo padre inviava nei terribili momenti prima di morire; messaggi che lui ha nascosto al mondo intero, persino a sua madre.
Ma Thomas Schell non era un genitore qualunque: non avendo conosciuto suo padre, aveva garantito una presenza costante nella vita del figlio, guidandolo in una serie di attività orientate alla crescita interiore, tra cui alcune esplorazioni che Oskar compie in giro per la città, armato di mappa e di tamburello (che usa come una sorta di antistress). Dopo un anno dal tragico attentato, Oskar scopre qualcosa per cui vale la pena continuare a cercare: frugando tra gli oggetti del padre, rompe un vaso di ceramica e dentro vi trova una chiave; è contenuta in una bustina con su scritto “Black”. Non sapendo cosa fare, decide di tracciare una lista di tutti i signori e le signore Black di New York e di incontrarli, uno ad uno. Ha così inizio una vicenda che porterà Oskar ad aprirsi al mondo in un modo inaspettato, con una ricerca che diventa fotografia e diario di una città fisica e interiore osservata attraverso sentimenti di turbamento, rabbia, tristezza, grazie ai quali Oskar scoprirà la sua identità più intima.
Stephen Daldry (da The Hours del 2002 a The reader del 2011) si affida ancora una volta alla centralità di una vicenda intima e soggettiva per dischiuderne altre, così da far assumere al racconto un respiro più ampio e corale. Vengono in mente i sogni tra realtà e dolore di “Nel paese delle creature selvagge” (2009 di Spyke Jonze) quelli di un altro film come August Rush, film del 2007 diretto da Kirsten Sheridan, presente qui a Berlino con Dollhouse, oppure il film diretto dallo stesso Daldry, Billy Elliott (2000).
Nonostante l’apparente happy ending, il dolore legato alle vicende dell’11 settembre rimane a far da sfondo minaccioso insieme alle conseguenze che questo ha sull’equilibrio delle famiglie delle vittime, in questo senso l’oggetto delle ricerche di Oskar diventa una chimera. Daldry accompagna quest’esplorazione con il suo stile preciso ed elegante, con una forte capacità di mantenere l’equilibrio del film anche quando si corre il rischio di perdersi nella frammentazione polifonica del racconto; è in fondo la grande forza emotiva del piccolo protagonista a far da collante principale.
Proprio in questo senso occorre specificare che la prova dell’esordiente Thomas Horn è efficace e riuscita prima ancora di quelle dei suoi colleghi: Tom Hanks nel ruolo del padre, Sandra Bullock in quello della madre e un eccezionale Max Von Sydow, in quello del nonno. Extremely Loud and Incredibly Close è un film che coinvolge e commuove.