Bisogna tornare al 1997 per imbattersi in un altro volume monografico, in lingua italiana, sul regista ceco Jan Švankmajer – classe 1934, surrealista (con tanto di tessera) dal 1970 e in animata attività fin dai primi Sessanta. Il volume in questione, nato a latere del Bergamo Film Meeting, era curato da Bruno Fornara, Francesco Pitassio e Angelo Signorelli, “scopritori” dell’arte di Jan nella terra dei cachi. Ora abbiamo un secondo oggetto del desiderio in cui infilare il naso e su cui passare i polpastrelli. Ha le dimensioni di un iPad, è lucido fuori e lucido dentro ed è corredato di splendide immagini in bianco e nero, conturbanti e arcimboldesche come tutta la fillmografia di “Svank”. Il sesto numero della collana Moviement rende giustizia all’argomento trattato e regala ai suoi fan (e ai tanti curiosi dell’animazione à la Gilliam, à la Quay Bros., à la Burton) uno strumento prezioso per addentrarsi nel mondo tattile e carrolliano di Jan Švankmajer e della moglie Eva, recentemente scomparsa. Sei i saggi contenuti nel volume, di cui ben quattro presentati in traduzione. Questo per dire quanto la critica e l’accademia italiane abbiano snobbato, e continuino a snobbare, uno degli autori più vitali e prodighi del cinema mondiale, capace di andare ben oltre i confini dell’animazione, del folklore ceco e del surrealismo ogni volta che accende la macchina da presa. Basti vedere, per convincersene, corti come L’appartamento (1968) o Dimensioni di dialogo (1982), o lungometraggi strepitosi e liberatori come Alice (1987) e I cospiratori del piacere (1996). Basta cliccarlo su youtube per farsi un’idea del suo cinema carnale e ossessivo, che anima – in egual misura – gli oggetti più disp(e/a)rati e noi umani, miseri burattini faustiani. Va detto, e non per campanilismo, che i saggi più “centrati” portano firma italiana, nello specifico quello di Luigi Castellitto, Dovete chiudere gli occhi, altrimenti non vedrete niente, e quello del nostro Michele Faggi (Discesa all’inferno e resurrezione), che chiude la batteria con una puntuale analisi di Surviving Life, Theory and Practice (2010). Il testo dà anche voce al maestro nel gran finale, con una lunga intervista di Peter Hames condotta a spizzichi e mozzichi tra il 1992 e il 2006 (intervista che getta luce sulle tante censure subite da Švankmajer nel suo Paese) e soprattutto con un Decalogo, pubblicato originariamente nel 2006 sulla rivista britannica «Vertigo» che da solo, sì, da solo vale proprio quel prezzo lì. Del biglietto. Ciliegina sulla torta: si scopre chi è l’antenato di Švankmajer, il suo padre putativo nell’arte dell’animazione artigianale. Non faremo nomi, ma vi consigliamo di digitare sul succitato youtube “Stop motion broomstick ostrich Victrola”. Abracadabra.