My Dear Enemy è il quinto film di Lee Yoon-ki, il quinto se includiamo Naega salagdon chib (The Hard Goodbye), tv drama del 2005, spesso dimenticato anche dai database di informazione cinematografica e probabilmente una delle realizzazioni più interessanti e acuminate del cineasta Coreano. Virtualmente sconosciuto in Italia, Lee Yoon-ki sin dal suo debutto con This Charming Girl ha ricevuto consensi di un certo rilievo da parte della critica internazionale, la solita attenzione d’avanguardia in Francia e l’inclusione di My Dear Enemy all’interno della selezione di Berlino 2008. Quello che a tutt’oggi è l’ultimo film del regista coreano è solamente in apparenza una sintesi o un volo leggero sulla superficie del suo cinema. Con esiti e con uno sguardo sicuramente diverso c’è una suggestione sottile che lega l’ultimo, bellissimo film di James Gray (Two Lovers) a My Dear Enemy; ed è probabilmente una tensione nera, o come ha preferito definire David Bordwell, semplicemente Hitchcockiana, nel modo in cui il corpo del melodramma subisce una re-visione a partire dagli oggetti, dalla dis-funzionalità dello spazio, dai tempi della sophisticated comedy che eccedono il meccanismo per essere inabissati nella forza distruttiva della durata. Che il cinema di Lee-yoon-ki sia un progressivo attraversamento dello spazio, inteso come arricchimento anche traumatico dell’esperienza, è chiaro in tutto il suo cinema, dove il peregrinare non è mai l’indicazione di un percorso autoritario e le forme di uno scrutare sfuggente ed ellittico (non solo Bressoniano) sono epifanie della visione aperte e possibili ; per rimanere all’interno di suggestioni im-pertinenti e legate ad un’idea normativa del racconto, il sistema causale nel cinema di Lee-Yoon-ki lo si coglie fuori e addirittura ci sorprende alle spalle della macchina da presa, l’esatto contrario di quella pesantezza insopportabile e senza via di scampo che ha, non troppo paradossalmente, il compito di rassicurare il “colto” spettatore che esce soddisfatto dopo la visione di un qualsiasi Florian Henckel von Donnersmarck, alla ricerca della verità nel taschino. Le vite degli altri, nel cinema di Lee-yoon-ki, restano un mistero invaso dalla presenza di segni ed oggetti mai ridondanti, uno sguardo che è leggero ma allo stesso tempo duro, tagliente e tagliato da un cinema che continua anche dopo i titoli di coda. Il piano sequenza che introduce My dear Enemy ha una durata intimamente depalmiana, si ferma e riparte dai margini dell’inquadratura, per arrivare ad un frammento del racconto, una scheggia dal quale il film si espande, letteralmente; il debito in denaro che Jo Byeong-woon ha contratto con Kim Hee-su, una splendida Jeon Do-yeon che completa la galleria di figure femminili del cinema di Lee-Yoon-Ki, animate su di un filo invisibile da un passato che diventa rivelazione attraverso lo spazio. “Racconto” in transito che solo una sinossi potrebbe disinnescare.
Per una Dvd-grafia di Lee-Yoon-Ki…
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My Dear Enemy, il trailer
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