La collaborazione tra Nick Cave & Warren Ellis supera ormai il lustro e al di là dei progetti più noti ha permesso alla coppia di sperimentare forme più dilatate e narrative grazie ad un numero non indifferente di colonne sonore realizzate a partire dal 2005; White Lunar è un doppio Cd che raccoglie quasi integralmente la musica scritta per il cinema, inclusa la partitura composta per il nuovo film di John Hillcoat tratto da un romanzo di Cormac McCarthy, The Road, recentemente visto a Venezia 66 tra i titoli del concorso ufficiale e recensito su inde-eye cinema da questa parte.
Le prime 4 tracce del primo CD si riferiscono allo score composto per The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford, un sottovalutato western crepuscolare diretto nel 2007 da Andrew Dominik, il regista di Chopper attualmente al lavoro con un nuovo neo-western tratto ancora da un romanzo di Cormac McCarthy e intitolato Cities of The Plain. La musica per The Assassination percorre i toni e tempi di un folk rurale messo insieme in modo disfunzionale e in grado di disegnare spazio e tempo con una dilatazione estrema dei suoni che si riverbera anche nella musica scritta per The Proposition; ed è proprio la title track del Western dipinto con il sangue e diretto da John Hillcoat nel 2005 che introduce i drones minacciosi e cupi che caratterizzeranno il suono del duo fino alla musica per The Road.
Elementi di un marchio riconoscibile, che in forma diversa fanno parte del repertorio Bad Seeds e Grinderman vengono defunzionalizzati e utilizzati come per tratteggiare paesaggi ancestrali; è una musica che descrive benissimo lo spazio come strana fusione tra l’estetica del deserto e quella del sogno. Martha’s Dream, brano scritto per The Proposition è un esempio molto chiaro di questo minimalismo scabro e fatto di sangue; lo score scritto per il film di Dominik in un certo senso anela ancora alla forma canzone ed esplode nelle due versioni di The Rider in una ballad dalla struttura classica e crepuscolare. Tutto il lavoro per The Proposition è un preludio alla musica scritta per The Road, una minacciosa suite innestata su un tune pianistico decadente e post-romantico; la Title Track ha una forza funerea e struggente davvero molto rara e ci presenta Cave & Ellis perfettamente a loro agio con le strategie cinematiche più navigate, con quella forza iconoclasta in più che permette loro di massacrare generi e temi generici.
La bellezza ancestrale di The Road lascia spazio al pianto di The Mother, la traccia dedicata alla breve apparizione di Charlize Theron nel film di Hillcoat, natura ambigua che attraversa tutto The Road e che Cave & Ellis rappresentano con un breve drone fatto d’archi che mantiene ancora uno stretto contatto con le radici. The Father è invece un flebile gioco tra drones e fiati, una lontana reminiscenza aborigena capace di disegnare lo spazio di una natura distrutta.
Il cupo incedere di The Journey è un preludio ad una nuova apertura, quella di The Boy, fusione sonora tra tutti gli elementi dello score, una reincarnazione fatta dalle visioni oscure della maternità e dal sangue del padre. Il cuore di tenebra che pulsa nei suoni di The Road si ripete in forma tragica e algida nella colonna sonora scritta da Cave & Ellis per The Girls of Phnom Penh, il film diretto da Matthew Watson nel 2009 che indaga il traffico sessuale in Cambogia; la musica del duo fonde suoni tradizionali con la loro personale visione delle radici, annegando tutto in una serie di drones mortuari e minacciosi che trovano il momento più oscuro e claustrofobico in Window e nuovamente un’apertura dolorosa nelle struggenti Sorya Market e Cheata. Le tracce dalla 6 alla 11 si riferiscono al lavoro di Cave & Ellis per il documentario di Geoffrey Smith dedicato al neurochirurgo Henry Marsh e intitolato The English Surgeon; è probabilmente il gruppo di tracce più deboli dell’intera raccolta, tutte giocate tra dinamiche narrative e i soliti elementi folk che si affacciano in una struttura costituita da un minimalismo più tradizionale.
Al contrario, risultano assolutamente straordinarie le tracce “prelevate” dagli archivi del duo, 4 viaggi sonori estremi, Halo risente ancora delle atmosfere di The Girls of Phnom Penh tanto da sembrare un out-take estrema di quella raccolta, con il violino a disegnare un lamento spettrale; Zanstra è un’incubo antropologico australiano, confine aspro tra il folk e un trattamento metallico dei suoni trascinato da un drone tagliente e durissimo, Daedalus è una delle tracce più belle di tutto White Lunar, davvero rievoca una luce lunare con piano e flauto che emergono da un drone ossessivo in un recupero assolutamente anomalo di alcune sonorità cinematiche tra il ’60 e il ’70, il John Barry di Walkabout e di The Whisperers, le suite astrali di Michael Small (Klute) e andando più a fondo anche il lavoro di Patrick Gowers sulla tradizione inglese (The Virgin Gipsy). Il brano che chiude White Lunar fa ancora parte degli “scarti” del duo ed è la bellissima Magma, un coro di Ellis sovrimpresso e modulato con un pitch, un drone fatto di voce, sangue e polvere.