La vita si divide in due parti. La prima frazione corrisponde pressappoco alla fase in cui siamo fermamente convinti che una serie di esperienze meravigliose prima o poi ci capiteranno (ci devono capitare, in fondo lo pretendiamo). L’amicizia perfetta, il dialogo perfetto, l’incontro perfetto. Un frammento di sintonia piena con il mondo. Nella seconda, diamo una sostanziale ritoccata alle nostre aspirazioni. Forse l’attimo è già passato e non ce ne siamo accorti, o forse semplicemente prendiamo atto che l’esistenza è molto più complicata e nevrotica, e anche il nostro giorno migliore avrà qualche screziatura di troppo. La soglia fra le due trascorre in modo impercettibile, ma è impossibile opporsi. Ci troviamo al di là di una barriera invisibile e capiamo che è impossibile tornare indietro. Noi siamo infinito parla a entrambe le fasi. Ed è efficace, funziona. È una collezione di attimi perfetti (chiamatele scene madri) dal gusto un po’ retrò, che mescola letteratura evergreen (Il buio oltre la siepe, Il giovane Holden, aneddoti su Dickens), musica cult (David Bowie, Sonic Youth, The Smiths), luci morbide e un pizzico di sano ribellismo. Carburante per i sogni degli adolescenti (“prima o poi queste emozioni investiranno anche me”) e malinconica tenerezza per chi è già oltre la linea d’ombra (un sospiro). Stephen Chbosky – scrittore, regista, e sceneggiatore – adatta il suo romanzo (uscito nel 1999, inevitabilmente un best seller), The Perks of Being a Wallflower (Ragazzo da parete) e sembra sapere bene dove andare a parare. 1991. L’emotivo e sensibile Charlie Kelmeckis ha sedici anni, legge molto, parla poco e nasconde qualche trauma. Non ha amici, ma scrive lettere. Il primo giorno di liceo si risolve in un incubo chiassoso e nell’auspicio che gli oltre mille giorni che lo separano dal diploma passino alla velocità della luce. L’ansiosa monotonia si interrompe improvvisamente quando Charlie incontra Sam, Patrick e la loro corte di amici stralunati. Un anno di scuola che si trasforma in un vortice di sensazione di scoperte: il primo amore, le risse, l’amicizia, la musica, il Rocky Horror Picture Show, i vinili e le musicassette con le dediche. Il suggello è un viaggio nella notte metropolitana, con Sam che si alza in piedi sul pick-up e diventa un angelo. “We Can Be Heroes, Just For One Day”, canta David Bowie dalla radio a tutto volume. Gli adulti stanno a guardare, non sempre capiscono, ma a volte danno qualche buon consiglio (Paul Rudd, l’insegnante perfetto). Mentre il sorriso empatico dello spettatore accompagna l’intera visione (almeno fino alla rivelazione finale, con l’incubo allucinatorio di Charlie e la scoperta di un truce segreto), sarebbe fin troppo facile dire che un film che fa leva su queste corde pecca di furbizia. Azzeccato il terzetto di attori principali (il fascino ferito di Emma Watson, lo sguardo spaesato e intelligente di Logan Lerman, la carica di Ezra Miller), Noi siamo infinito procede come un collage di sensazioni e umori altalenanti che riproducono un microcosmo variegato e in continua mutazione. Come i suoi protagonisti adolescenti, anche il film è in costruzione. Privo di una solida struttura, spinge l’acceleratore su emozioni che si riproducono senza soluzione di continuità (ansia-amore-paura-solitudine), immergendoci direttamente nel mondo imperfetto di Charlie e dei suoi nuovi amici («Welcome to the island of misfit toys», sussurra Sam a Charlie, e forse un po’ anche a noi). Sensibile, malinconico, esistenziale, appassionato? Senz’altro. E, come direbbe qualcuno, “Whatever works”.