Hooper gira con distaccato documentarismo; obbligando lo spettatore ad una forzata sospensione dell’incredulità che porta ad osservare le immagini come catturate per caso dal vero. Un processo dedotto dal cinema porno di quegli stessi anni (che, Gola Profonda docet, proprio nella presunta osservazione lubrica della quotidianità, fondava tutta la sua forza propulsiva), col quale il film rasenta più contatti; non ultimo la sedicente volontà di mostrare l’immostrabile: l’osceno, l’indecoroso, l’intimo: il sesso da una parte, la morte dall’altra.
Malgrado ciò, attraverso una regia misuratissima e fintamente svagata; attraverso una serie infinita di depistaggi visivi (s’inchioda lo sguardo sugli hot pants che nulla lasciano all’immaginazione, per poi essere spiazzati dalla furia cieca che segue un secondo dopo), di tagli ed artifici di montaggio (la ragazza appesa al gancio da macellaio), Hooper espone molto meno di quanto, poi, non si è creduto d’aver visto. La violenza è estrema ma la camera, quasi seguendo la presumibile reazione del pubblico, gira sempre lo sguardo un attimo prima, lasciando ogni possibilità all’immaginazione, così che ogni spettatore divenga, teoricamente, ovvio, un potenziale sadico assassino.
Hooper, Kuhn ed Henkel, ravanano il fondo della cultura americana, recuperano il famigerato Ed Gein (il temibile pluriomicida necrofilo, che inspirò anche la figura, sempre santa, del Norman Bates di Hitchcock ma anche il dottor Lecter de Il Silenzio Degli Innocenti di Demme) e moltiplicandolo in una famiglia di rednecks, lo riportano a quello che, lo si voglia o meno, realmente fu: non un metafisico male incarnato ma un prodotto sociale. Dietro ai dialoghi allucinati della famiglia Sawyer, oltre una non troppo velata critica animalista, si nascondono, infatti, riflessioni non banali sui mali della provincia, sulla disoccupazione e sul conseguente impoverimento della classe media. Tutti argomenti oggi, dopo quarant’anni, vivi più che mai (a dimostrazione di quanto non esista una sola crisi economica ma di quanto questa sia strutturalmente legata al sistema capitalistico) ma che non trovano più autori adeguati a raccontarli. O meglio, che non trovano autori informati dagli adeguati valori culturali, atti ad osservare la realtà con lo sguardo critico necessario per poi riformularla in fiction (con rare eccezioni come nel recente I Bambini di Cold Rock di Pascal Laugier o in Vinyan di Fabrice Du Welz, non a caso produzioni indipendenti).
Non Aprite Quella Porta 3D è l’ennesimo capitolo di una saga che si è spenta, praticamente, da subito; che dopo l’esempio originale, non ha mai regalato molto in termini prettamente cinematografici e che oggi viene ulteriormente scolorita in un irritante perbenismo post Scream. Finale aperto per chissà quale altra nefandezza. Sconsigliato