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Nosferatu di Murnau al Telekom Forum di Bonn, 21-01-2012

Qui a Bonn, in Germania, la valorizzazione del patrimonio cinematografico pare sia una questione seria. Da più di vent’anni la Förderverein Filmkultur Bonn, un’autorevole associazione culturale, organizza retrospettive sulle più varie cinematografie degli anni 20 e 30; eventi che, nell’ameno scenario dell’Innenhof dell’Università bonnense, godono di uno straordinario successo di folla.
Evidentemente consci dell’importanza e della presa di queste iniziative, gli organizzatori non hanno voluto lasciare inappagati gli intellettuali di queste latitudini, affamati come sono di cinematografo. Dunque, nell’attesa della prossima roboante estate di sbobinamenti, l’associazione culturale di cui sopra ha pensato bene di allestire uno spettacolo invernale, roba che neanche nell’anteguerra: la proiezione di un classico del cinema muto tedesco, Nosferatu – Eine Symphonie des Grauens di Friedrich Wilhelm Murnau, accompagnata, nella riproposizione del commento musicale originale, da un’orchestra di tre elementi, tale Aljoscha-Zimmermann-Ensemble. Ad ulteriore testimonianza dell’importanza dell’evento, una pubblicità imponente che da fine Novembre ha invaso le strade dell’ex capitale tedesca e la partnership del colosso delle comunicazioni tedesche, Deutsche Telekom – proprietario, tra l’altro, dell’avveniristico impianto adibito per l’occasione a sala cinematografica, Il Telekom Forum.
Dev’essere stato l’amore incondizionato per la settima arte a suggerire l’idea di sfruttare una struttura tanto all’avanguardia per un film di Murnau. Appena arrivati, l’imponente schermata a cristalli liquidi al di sopra dell’ingresso principale, dardeggiava il titolo del film a mo’ di blockbuster, intermezzato dall’invitante primissimo piano di Max Schreck in costume di scena;  una volta dentro, sospinti da una fiumana di spettatori, calcolabili al momento sull’ordine delle centinaia, si prendeva posto alla bell’e meglio su scomodissime sedie da happy hour, disposte per l’occasione; infine, a pochi minuti dall’inizio della pellicola, una simpatica imbonitrice saliva sul palchetto dell’orchestrina per salutare quelli che a detta sua erano “gli amanti dei film per vampiri” e per questuare fragorosi applausi alla volta dei generosi sponsor.
Premesso tutto questo, la commedia ha avuto inizio. Già, perché di commedia si trattava a ben vedere le reazioni del pubblico. Battiti di mani scroscianti ad ogni virtuosismo dei musicisti, le tonalità persistenti della masticazione da bretzel, un brusio immancabile, una quantità incalcolabile di risate per le bizzarre tecniche che andavano di moda novant’anni fa: arresti e sostituzioni, velocizzazioni, raccordi di soggettiva. Pare che la gag più riuscita sia la scena in cui un vampiro si alza meccanicamente dalla bara.
Non me ne voglia nessuno per questo poco di sarcasmo. Rivedere un classico è consigliabile a priori, anche nel caso in cui l’organizzazione non abbia accennato ad un seppur misero restauro. La possibilità poi di godere dell’illusione del cinema delle origini, con suoni almeno verosimili, è un privilegio (e qui occorre sottolineare che i musicisti, meccanicamente sincronizzati con i gesti degli attori e la fine degli atti, hanno eseguito le partiture di Hans Erdmann, datate 1921, con fare assolutamente accademico, scientifico). Tuttavia, se il prezzo da pagare per assistere alla proiezione di un classico è la sensazione di essere capitati all’antonomastico film di natale, bisogna pur rivedere la propria posizione.
Probabilmente la reazione del pubblico, sebbene dozzinale, è quanto più si avvicina alla spontaneità degli spettatori dei primi anni del secolo, quelli delle première con fuga terrorizzata a film in corso. Una reazione legittima di chi, più o meno sensibile alla materia, è conscio di vedere un capolavoro d’altri tempi. Forse c’è anche un vago senso di equità dietro al fatto che adesso anche un tifoso del Borussia può dire di aver visto un film del connazionale Murnau. Eppure tutto questo cozza terribilmente con quanto fino a poco tempo fa si definiva evento culturale: una questione di qualità e non di numeri, un’attività golosamente elitaria, preposta alla valorizzazione dell’arte, in questo caso cinematografica, e mai al suo imbarbarimento. Qui invece ci si trova di fronte ad un evento radical chic, una carnevalata mondana, che non può non lasciare amareggiato un appassionato esattamente per due motivi: prima di tutto perché ha potuto constatare personalmente quanto il cinema d’epoca sia motivo d’attrazione (cinquecento persone non si muovono per nulla) e non una consuetudine privata, voyeuristica; inoltre perché, al di là di facili vittimismi, si accorge che, se c’è un’anomalia, di certo non è costituita dalla maggioranza degli spettatori. Evidentemente i cinefili sono diventati una rarità o non sono mai esistiti, detto con buona pace di chi, come me, ha sempre ritenuto che il male maggiore fosse il fantasma dei cineforum dei trinariciuti togliattizzati, quelli dei dibattiti deserti.

Davide Minotti
Davide Minotti
Davide Minotti nasce a Frosinone nel 1989. Dopo un'esperienza alla John Cabot University di Roma, si occupa ora di Germanistica e Scandinavistica tra l'Università degli Studi di Firenze e la Rheinische-Friedrich-Wilhelms-Universität di Bonn, dove vive. Appassionato di letteratura e cinema, spera che un giorno questi interessi possano diventare qualcosa di più concreto. Nel frattempo scrive e progetta cortometraggi nel perenne tentativo di realizzarli.

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