martedì, Novembre 5, 2024

Paradiso Amaro di Alexander Payne (Usa, 2011)

Matt King è il discendente di una famiglia proprietaria di 25mila acri di terra alle Hawaii, che dovrà vendere a causa della scadenza del trust. Padre e coniuge disinteressato alle questioni famigliari si ritroverà a fare i conti con le conseguenze di un tragico evento: il coma irreversibile della moglie.

In Paradiso Amaro, la disgrazia diviene il motivo per la reunion di una famiglia a comparti stagni, dove ognuno è un mondo a sé e, soprattutto, nasconde segreti mai venuti a galla perché non c’era nessuno disposto ad ascoltarli. La parabola di maturazione affettiva di Matt lo porterà a comprendere le ragioni della ribellione di Alexandra (la bravissima Shailene Woodley) , dell’irrequietezza di Scottie (Amara Miller) e infine la causa del tradimento della moglie. L’effetto collaterale prodotto da questa nuova consapevolezza di Matt è la sua decisione di non vendere più le terre ereditate, cercando invece di escogitare, nel tempo ancora disponibile, un modo per conservarle immacolate, in pieno spirito new-ecologist.

Da sempre innamorato dei personaggi che racconta, con quest’ultimo film Alexander Payne diviene ancor più indulgente, smarrendo quasi del tutto quella vena caustica che già era andata scemando dopo il convincente esordio con Election. Per la prima volta sorge il dubbio che Payne abbia paura di premere il pedale della ‘cattiveria’: quella necessaria ad entrare nel vivo di conflitti così complessi come quelli trattati in Paradiso Amaro. Le uscite politicamente scorrette di Sid (Nick Krause), il ragazzotto picchiatello che accompagna la famiglia, così stranianti se comparate al tono complessivo del film, sono un sintomo delle spinte contraddittorie di Payne, che soffoca la sua verve acida per non minare il suo bisogno di essere edificante. Dopotutto il fine programmato è quello di elogiare il potere ‘terapeutico’ dei legami famigliari, ricreando sullo schermo le dinamiche psicologiche e comportamentali dell’uomo comune a conforto dell’uomo comune spettatore. L’ottima prova di Clooney, che nei momenti ‘comici’ ammicca al Cary Grant della sophisticated comedy, corre in soccorso ad alcuni problemi di sviluppo del suo personaggio, leggermente sfocato, che reagisce meccanicamente agli eventi e non sorprende mai fino in fondo. Non è messa in dubbio, comunque, la grande abilità di Payne nella direzione degli attori e, più di ogni altra cosa, la capacità empatica nel creare un sottotesto emotivo ai dialoghi, rinunciano alla retorica dell’esaustività a tutti i costi. Premiato dall’Academy con l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale.

Diego Baratto
Diego Baratto
Diego Baratto ha studiato filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Si è laureato con una tesi sulla concezione del divino nella “Trilogia del silenzio di Dio” di Ingmar Bergman. Da sempre interessato agli autori europei e americani, segue inoltre da vario tempo il cinema di Hong Kong e Giappone. Dal 2009 collabora con diverse riviste on-line e cartacee di critica cinematografica. Parallelamente scrive soggetti e sceneggiature.

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