Il romanzo Pazze di me di Federica Bosco è una favola moderna che colpisce per il suo particolare stile, fagocitante nella scelta delle immagini ma estremamente serafico nella struttura. Racconta la vita di Andrea, un ragazzo che all’età di cinque anni vede il padre uscire di casa e sparire dalla sua vita, per sempre: da quel momento Andrea è costretto a ricoprire il ruolo di ‘uomo di casa’ in un’ingombrante famiglia composta da mamma, tre sorelle, nonna, badante e cane (ovviamente femmina); una situazione in cui Andrea finisce per rifugiarsi, malgrado sia costretto a rinunciare alla propria libertà alla soglia dei trent’anni. Non si tratta certo di un capolavoro della Schönliteratur, ma il libro è comunque da apprezzare se non altro per brio e sincerità, oltre che per la circostanza che vuole la scrittrice impegnata nella creazione di un personaggio maschile sì atipico, ma comunque ben caratterizzato. Il preambolo è necessario per introdurre l’omonimo film di Fausto Brizzi. Il plot è il medesimo, così come la maggior parte delle battute (e infatti la Bosco ha collaborato anche alla stesura della sceneggiatura); cambia però lo spirito della storia, imperniata su una serie di rimandi che esulano dalla natura del testo originale. Una conseguenza lecita, dal momento che ogni tipo di trasposizione impone una scelta autoriale ben precisa, ma che proprio per questo merita d’essere problematizzata. Fausto Brizzi è diventato nel corso degli ultimi anni il simbolo di un modo di fare commedia. A partire da Notte prima degli esami (2006) passando per gli ultimi film corali Ex (2009) e Maschi contro femmine (2010), Brizzi è riuscito nel tentativo di coniugare la continuità produttiva con un certo successo: le sue storie sono leggere, forse anche troppo, vorrebbero far ridere o almeno sorridere, ma ad ogni modo mettono d’accordo la maggior parte del pubblico pagante proprio per la loro riconoscibilità. Simili in questo alle pellicole di Luca Miniero e Paolo Genovese, le storie di Brizzi sono il prototipo del film per famiglia da 90’ perché giocano sullo stereotipo di turno con un minimo di azione e personaggi intelligibili, possibilmente interpretati da attori molto popolari. Ad esempio, in quest’ultimo film non ci sono solo Francesco Mandelli (a briglie sciolte al punto da diventare spesso e volentieri una maschera) e Loretta Goggi, ma anche le comparsate qua e là di Flavio Insinna, Luca Argentero, Gioele Dix, Filippo Roma e Pif. La presenza insistente di volti noti, sintomo di uno studio puntuale del fenomeno televisivo, è il segno identificabile di questo tipo di cinema e si traduce con la presunzione di voler rassicurare a tutti i costi lo spettatore. La logica dell’imbonimento non è condannabile di per sé, poiché risponde alla natura stessa del fare cinema, eppure risulta deprecabile nel momento in cui appiattisce e banalizza ogni tipo di sviluppo narrativo; questo è accaduto al soggetto di Federica Bosco, sicuramente non eccezionale ma autentico proprio nell’ingenua rappresentazione del dolore. Questo tipo di considerazioni non vogliono esprimere una polemica, semmai un rammarico: Pazze di me è un film riuscito, per cui non si vuole mettere in dubbio la professionalità dei realizzatori, capaci di confezionare una storia che risponde perfettamente alle esigenze produttive; c’è piuttosto dispiacere nel constatare come l’appartenenza al genere ‘commedia’ si debba misurare unicamente in base all’effetto e non alle intenzioni. Il trionfo della commedia (all’) italiana risiedeva non tanto nel novero delle risate prodotte, ma nella rappresentazione della crudeltà. Qui di crudeltà, nonostante gli spunti, non c’è neanche l’ombra; c’è solo il bisogno straniante di strappare un sorriso.