Due anni dopo Tony Manero Larraín realizza un film cupissimo e disperato sovrapponendo l’immagine di un regime alla lenta autopsia di un organismo più complesso; a Larraín non interessa solamente la carne dei corpi maciullati dopo il loro arrivo in un ospedale di Santiago del Cile per i rilevamenti autoptici, ma è questa ipertrofia visiva della putrescenza che risuona nel sistema pulsionale di Mario (Alfredo Castro), l’impiegato addetto a redigere le relazioni sui cadaveri dettate dai medici, a svelare il cuore nero di una dittatura come intimo desiderio di morte; senza rappresentare esplicitamente quella relazione necrofila tra corpo sezionato e desiderio sessuale che è presente nell’astrattismo pornografico di Nacho Cerdà, il regista cileno fa scivolare la morte nel quotidiano, nel costante masturbarsi di Mario, in questa terribile immagine della morte come estrema volonta di possesso e distruzione dei corpi; l’anestesia totale sul volto di uno straordinario Alfredo Castro che ci rivela il sistema di relazioni, anche affettive, come germe malefico della fine è il segno di una tensione ineluttabile e antropologica verso la dissoluzione. Solo l’arrivo del cadavere di Allende con il cranio scoperchiato, il volto maciullato dal piombo e dalle percosse sovrappone in modo traumatico il corpo Storico con quello privato, rivelando d’improvviso un disegno più vasto nell’agglutinarsi dei cadaveri ammassati sulle scale e nel grido dell’assistente di sala che sembra essersi svegliata da un sonno senza fine, Mario rimane immobile e un colpo di pistola restituisce l’ordine e il silenzio ad un paese di morti vivi. Ed è qui che Larraín, nel mostrarci la progressiva trasformazione verso un abisso primigenio del rapporto tra Mario e Nancy, la vicina di casa che si nasconde in cantina, propone una sovrimpressione tra regime e anima, Storia e orrore privato, congelando in un piano sequenza intollerabile la sepoltura del s-oggetto amoroso, la riduzione di una relazione ad un desiderio di morte e cancellazione in una delle immagini più potenti e inesorabili sul corpo occultato che accomuna vittime e carnefici dentro un’unica tomba.
Post Mortem di Pablo Larraín
Due anni dopo Tony Manero Larraín realizza un film cupissimo e disperato sovrapponendo l'immagine di un regime alla lenta autopsia di un organismo più complesso
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Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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