venerdì, Novembre 22, 2024

Re della terra selvaggia di Benh Zeitlin

Se agli appena trascorsi premi Oscar l’Academy ha scelto di consacrare come film dell’anno il “classico” Argo di Ben Affleck, il vero caso cinematografico della stagione è la piccola ma originale opera di Benh Zeitlin, Re della Terra Selvaggia.
Già vincitore della camera d’or come migliore opera prima allo scorso Festival di Cannes, il lungometraggio arriva nelle sale italiane dopo un’accoglienza per la maggior parte entusiastica. Girato da Zeitlin con il suo collettivo Court 13, servendosi di attori non professionisti, il film ha il pregio di portare un lavoro essenzialmente “indie”, in un contesto mainstream.
Hushpappy è una bambina che vive con il padre Wink nella “grande vasca” sulle sponde di un delta del profondo sud degli Stati Uniti. Quando un uragano colpirà la sua comunità e Wink contrarrà una malattia al cuore, la piccola dovrà dimostrare tutta la sua forza per andare avanti.
Nell’essenzialità della storia, sta la grandezza dell’opera. A colpire lo spettatore sono le immagini contrapposte tra reali e surreali, la splendida colonna sonora e i volti dei due attori protagonisti (Quvenzhané WallisDwight Henry), perfetti ed inquietanti allo stesso tempo. I loro scambi di sguardi e scontri dimostrano l’irrequietezza del loro vivere a cui dà ampia voce la regia che tramite l’impiego della macchina a mano, non è mai precisa, ma sempre movimentata, come se volesse rappresentare un doppio degli stati d’animo della bambina e del padre. Wink e Hushpappy vivono in mezzo alla natura, lontano dalla civiltà; ma se il primo è estremamente convinto della sua posizione (tanto da rifiutare il ricovero in ospedale quando si ammala), la bambina sembra a volte dubitare dello stile di vita del padre, sentendosi forse più vicina alla madre che li ha misteriosamente abbandonati (nel corso del film scopriremo che in realtà la piccola sa dove vive la madre).
Questa coraggiosa pellicola solleva numerosi quesiti,  da quelli politici fino a temi di tipo ecologista; per quale motivo l’uomo civilizzato costringe gli abitanti della grande vasca ad abbandonarla contro la loro volontà? Chi è nel giusto e chi nel torto, l’uomo che deturpa l’ambiente costruendovi mostri industriali o la comunità bayou che rifiuta ogni sorta di aiuto esterno? Mentre si tenta di trovare risposte a queste domande ciò che catalizza l’attenzione è il travolgente percorso di Hushpappy, che da bambina è costretta forse troppo presto a diventare adulta. In questo senso il film richiama un’altra opera che aveva come tema la perdita dell’innocenza infantile, Nel paese delle creature selvagge di Spike Jonze.
Come nella pellicola di Jonze anche qui creature surreali vanno a rappresentare le paure della protagonista; gli strani animali giunti dalla preistoria sono qualcosa con cui la bambina deve confrontarsi per prendere il posto del padre come guida della comunità. Così in quello che è forse il momento più alto e toccante del film, Hushpappy si trova faccia a faccia con le spaventose creature, ma dimostrando di aver già affrontato i suoi timori, riuscendo a provvedere al padre malato, esce rafforzata e illesa dal confronto. La morte di Wink è così un simbolico passaggio di testimone alla figlia che è ora pronta a portare avanti il suo operato.
L’immagine di chiusura mostra Hushpappy sicura di sé alla guida della comunità della grande vasca, ormai cresciuta e pronta ad affrontare ciò che la vita le porrà dinanzi.
Con “Re delle terra selvaggia” Benh Zeitlin riesce a realizzare una sorprendente opera prima, raccontando per mezzo della presa di coscienza di una bambina, una storia universale, capace di far riflettere, ma anche emozionare.

 

Redazione IE Cinema
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