martedì, Novembre 5, 2024

Revanche – ti ucciderò di Gotz Spielmann (Austria – 2008)

Si è appena concluso un decennio in cui il cinema austriaco ha saputo imporre autori e pellicole di sorprendente vigore e coraggio, imperniandosi attorno alle ricerche sull’origine della violenza di Haneke e concedendo perle sporadiche come gli impudici affreschi storici di Ruzowitsky e Hirchbiegel e la leggiadra e ficcante operetta della Hausner sul tema del miracolo. Giunge ora nelle sale italiane anche questo pluripremiato e pluriosannato Revanche, classificabile nel medesimo solco di cinema dall’afflato morale, che disattende le promesse di azione sanguinolenta alimentate dal sottotitolo italiano, rivelandosi un rigoroso anti-thriller dal respiro grave di parabola religiosa. Un intrecciarsi entropico di vite ed eventi, dove tutto ciò che succede è anticipato da oscuri presagi di inevitabilità. Il passo lento ed inesorabile di questo confluire meccanico di azioni e reazioni, che pare convocare lo spettro di una mano invisibile o di una sinistra predestinazione, riserverà ai suoi protagonisti una svolta nel finale, tanto logica e prevedibile quanto risolutrice e beffarda, che li lascerà quasi storditi nello stupore incredulo della sua contemplazione. La ricerca del colpo di scena o della svolta di trama come effetto è completamente estranea allo sguardo di Spielmann, che soffoca sul nascere la suspense e si concentra sull’effetto, vergine da ogni lezioso corsivo, nell’accezione di conseguenza degli accadimenti sul personaggio. Nella semplicità di una messinscena asciutta e realista fino all’invisibilità, si stagliano con naturalezza geometrie drammaturgiche che ammiccano al racconto universale ma si risolvono con più efficacia nello studio di caratteri, che una certa pesantezza dei dialoghi rende più autentici nei loro ritratti che nelle dinamiche del loro incrociarsi. Da un lato si dispone una Vienna svuotata da ogni fascino, dove la macchina da presa schiaccia i personaggi in ambienti grevi e claustrofobici, per fuggire dai quali sembra possibile solo strisciare via di soppiatto, come in effetti saranno costretti a fare Alex e Tamara. Ex-galeotto lui, prostituta in un bordello lei, innamorati malgrado lo squallore, sono da esso costretti ad un ultimo rischioso compromesso prima di potersi considerare liberi. In parallelo si collocano Susanne e Robert, coppia infelice incorniciata dalla serena e bucolica routine di un paesino montano: un femminino dalla traboccante e inespressa indole materna e un compagno frustrato e ineffettivo nei suoi ruolo di marito e di tutore dell’ordine. Si aggiungono al quadro due pistole, che vengono carezzate distrattamente dai rispettivi proprietari ma attirano magneticamente l’occhio della macchina da presa, che ci anticipa così il franare del racconto verso la tragedia da cui scaturiranno i propositi di vendetta del titolo. E’ qui che il film abbandona qualunque parvenza di noir (lasciando a dir la verità qualche buco nella trama) per scavare sempre più a fondo nelle tematiche del senso di responsabilità e di colpa, continuando a lavorare per immagini monadiche, concentrandosi questa volta sul logorante stridore di una sega elettrica su un monte di legno. Revanche, seppur non privo di difetti, resta un’opera potente e solenne, un teorema visivo sugli interrogativi sollevati dal desiderio di vendetta , che fa piacere abbia trovato una strada per la sale italiane dopo due anni abbondanti dalla sua uscita in patria

Alfonso Mastrantonio
Alfonso Mastrantonio
Alfonso Mastrantonio, prodotto dell'annata '85, scrive di cinema sul web dai tempi dei modem 56k. Nella vita si è messo in testa di fare cose che gli piacciano, quindi si è laureato in Linguaggi dei Media, specializzato in Cinema e crede ancora di poterci tirare fuori un lavoro. Vive a Milano, si occupa di nuovi media e, finchè lo fanno entrare, frequenta selezioni e giurie di festival cinematografici.

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