lunedì, Novembre 25, 2024

Safe House – Nessuno è al sicuro di Daniel Espinosa (Usa, 2012)

Dopo i buoni riscontri di botteghino in patria (su tutti Snabba Cash del 2010), Daniel Espinosa, svedese di origine cilena, con Safe House – Nessuno è al sicuro esordisce a Hollywood, confrontandosi con la tradizione della spy story e (soprattutto) dell’action statunitensi. Le parole chiave sono: non osare e giocare con schemi d’intrattenimento sicuri e collaudati.

Tobin Frost (Denzel Washington) è un ex agente dei servizi segreti, ora trafficante di notizie riservate, temuto e ricercato dalla Cia. Per salvare la pelle da chi gli vuole sottrarre le informazioni bollenti contenute in un file, è costretto a riparare presso il consolato americano di Città del Capo. Viene poi trasferito in una Safe House che non si rivelerà affatto sicura dagli assalti dei sicari e dalla quale fuggirà, scortato dal guardiano Matt Weston (un Ryan Reynolds che qui inaugura nuove frontiere della cagneria recitativa: il cane bastonato) il quale per la prima volta si ritrova nel vivo di un’operazione spionistica. Cacce all’uomo, auto in fuga da grandinate di piombo, quintali di marciume venuto a galla dalle istituzioni non impediranno che, dulcis in fundo, giustizia sia fatta.

Da un iniziale rapporto guardia-ladro, Matt e Tobin ne passeranno a un altro del tipo maestro-allievo, fedele al modello di Training Day, dove il novellino ingenuo ed entusiasta si convertirà al disincanto dell’altro, specialista navigato, con la sopraggiunta consapevolezza che niente e nessuno sono quel che sembrano e solo l’esperienza educa alla verità. Espinosa sposa il genere spionistico all’azione, visibilmente attratto più dalla seconda che dal primo: tiene presente il modello della saga di Bourne, con l’impresa ai limiti dell’impossibile dell’eroe solitario che scopre di essere attorniato da una pletora di voltagabbana; prosegue poi sulla strada spianata dagli action anni ’80, con scene adrenaliniche a ritmo teso, secondo una logica della quantità. Ha un occhio di speciale riguardo per le sequenze d’inseguimenti automobilistici, alle quali infonde grande foga cinetica, sebbene straripi varie volte nello spettacolo fracassone e nell’iperbole inverosimile. La sceneggiatura di David Guggenheim propone un itinerario spionistico del tutto prevedibile e risaputo, confluente in un finale prepotentemente giustizialista, che ormai non abbagliano più nemmeno le anime candide. Sostanzialmente un prodotto sospeso nel limbo della mediocrità.

Diego Baratto
Diego Baratto
Diego Baratto ha studiato filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Si è laureato con una tesi sulla concezione del divino nella “Trilogia del silenzio di Dio” di Ingmar Bergman. Da sempre interessato agli autori europei e americani, segue inoltre da vario tempo il cinema di Hong Kong e Giappone. Dal 2009 collabora con diverse riviste on-line e cartacee di critica cinematografica. Parallelamente scrive soggetti e sceneggiature.

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