E’ il 1928 quando all’interno di un numero di Weird Tales viene pubblicata una breve storia intitolata Red Shadows dalla penna di Robert E. Howard; quasi cinque anni prima che Conan vedesse la luce, Solomon Kane, lo spadaccino puritano del Devon, comincia ad attraversare l’Inghilterra del sedicesimo secolo a caccia di ogni forma di male assoluto.
Vampiri, lupi mannari, streghe, mostri e paure di profondità Lovecraftiana sono le vittime di Kane, forse uno dei primi cacciatori di mostri e incubi della letteratura moderna. Howard delineerà i tratti e le caratteristiche psicologiche del suo personaggio attraverso una raccolta esigua di racconti, compresi quelli incompiuti, e tre opere poetiche, che si porterà dietro fino al 1936, anno della sua morte. La raccolta degli scritti dedicati a Kane trascina con se tutta quella forza visionaria che eccede il corpus di idee e di intuizioni del suo autore, grazie alle numerose mancanze, agli abbozzi folgoranti, ad una saga che è fatta anche di vuoti, informazioni incompiute, connessioni e cronologie interrotte, storie da far ri-vivere.
E’ forse per questo che il tentativo di recuperare lo spessore psicologico di una figura complessa e sfuggente, ha attraversato come un fantasma letteratura, fumetto, cinema, creando degli ibridi e procedendo per allusioni. La Marvel negli anni 70 apre uno Spin Off su Kane all’interno della serie dedicata a Conan e gli ritaglia una miniserie completa solamente quindici anni dopo; un figlio dimenticato Kane, che influenza anche l’immaginario Hammer di film come Captain Kronos, Vampire Hunter, l’unica pellicola diretta dallo sceneggiatore Brian Clemens (Blind Terror di Richard Fleischer viene dalla sua penna) chiaramente ispirata alle gesta di questo vendicatore capace di muoversi negli oscuri recessi dello spirito.
Senza evidenziare le notevoli differenze e semplificazioni veicolate dall’innocuo Horst Janson, molto meno doppio dei mostri che combatte, certamente più vicini alle creature descritte da Howard e senza attardarsi a setacciare gli esempi di cinema più recente dove figure di avventurieri sul limite tra bene e male combattono le manifestazioni di un mondo immateriale, quello che ci interessava delineare anche in modo approssimativo, è il terreno di ricerca che deve in qualche modo aver ispirato lo script di Michael J. Bassett, una voragine di stimoli a metà tra lo spirito oscuro originario che soffiava sul personaggio creato da Howard, la sua fugace ipostatizzazione fumettistica, i colori putrescenti delle produzioni Hammer a cavallo tra la fine degli anni 60′ e i primi anni 70′ e in fondo, l’attraversamento di un personaggio “mai nato”, influente ed evanescente allo stesso tempo.
Basset lavora di sintesi in modo sorprendentemente efficace e si incunea dove gli mancano elementi per lo sviluppo di un “origine” interpretando lo spirito dello scrittore Americano con la re-invenzione di una possibile evoluzione del personaggio Kane dalla frequentazione del male umano, troppo umano, alla conoscenza del male assoluto come unica possibilità per resistergli; qualcosa che cerca di spiegare quella complessità inquietante tra puritanesimo e male, pacifismo e militanza; un rifiuto dell’escatologia cristiana del sacrificio che nel film di Bassett è violentemente sottolineato da una sequenza straordinaria dove James Purefoy scende letteralmente dalla croce solamente quando scorge una speranza di salvezza per la propria vita nel volto della bella Meredith Crowthorn, con un semplice movimento dello sguardo.
Dalle storie di Howard, Bassett non riadatta quasi niente se non trasversalmente e interpretando la complessità di un personaggio dilaniato attraverso un pezzo di cinema visionario davvero molto potente.
Purefoy ha certamente i tratti monolitici e apparentemente impermeabili dei vendicatori moderni fino al Dust Devil di Richard Stanley, che in fondo era già una libera interpretazione del personaggio inventato da Howard infarcita di postmodernismi, ma è intorno a lui che Bassett approfondisce e scava nella sua ambiguità, affrontando il set in modo fisico e affastellando in modo quasi Boormaniano momenti di crudeltà e violenza visiva con un taglio che riesce a mettere insieme in una sola inquadratura colpa ed espiazione, crudeltà è pietà, orrore e purezza.
Aspetti che fanno ben sperare per il futuro di Basset regista, capace di sorprendere proprio nel momento di passaggio da produzioni di matrice indipendente ad una macchina molto più complessa come quella prodotta da Samuel e Victor Hadida (Silent Hill, Resident Evil).
Deathwatch nella sua chiusura quasi didascalica del set era un film solido con molti elementi in comune con Solomon Kane, mentre il successivo Wilderness mollava per la strada le suggestioni metafisico-Lovecraftiane per trasformarsi in un pasticcio gore che, nonostante una regia serratissima, metteva insieme un po’ di tutto, compreso una variante davvero discutibile di Lord of The flies. Nelle intenzioni di Bassett, Solomon Kane dovrebbe essere il primo capitolo di una trilogia già pianificata con un successivo episodio ambientato in Africa e il terzo nel Nord-America del periodo coloniale.