mercoledì, Dicembre 18, 2024

Sulla Strada Di Casa di Emiliano Corapi

La prima incursione nel lungometraggio per Emiliano Corapi, è l’occasione per il regista per raccontare una vicenda che analizza e scandaglia in profondità i fondali della storia contemporanea, facendone un piccolo pamphlet sull’attualità italiana. Traendo spunto da un articolo di cronaca riguardante la nuova consuetudine, da parte delle organizzazioni criminali, di affidarsi a cittadini rispettabili ed incensurati per i propri traffici, Corapi affronta il tema pressante della recessione economica, attraverso la storia di Alberto, giovane imprenditore ligure con moglie e figli, disposto a fare il corriere per la malavita pur di salvare la propria azienda in crisi dal tracollo, che resterà coinvolto in uno scontro tra mafie, mettendo in serio pericolo la sua stessa famiglia, oltre che la propria stessa vita. Il viaggio dalla Liguria in Calabria e ritorno, diventa così, per Alberto, una lotta contro il tempo ma anche una caccia all’uomo, Sergio, in cui preda e predatore si confonderanno continuamente. Una caccia che avrà sviluppi ed esiti del tutto imprevisti.
Poiché Corapi è consapevole delle potenzialità intrusive del genere, affida al noir, come sempre, al cinema come in letteratura (fumetti inclusi), luogo eletto per la rappresentazione della realtà, il suo racconto, rinnovando, in un certo qual modo, quel cinema al limite tra impegno civile e intrattenimento puro che fu, fra gli altri, di Damiani, di Guerrieri, a volte di Castellari; seppure adotti una prospettiva diversa: intimista ed asciutta, minimale si direbbe; attenta e misurata; aderente ai corpi e ai volti dei personaggi alla maniera del primo De Palma, da cui, infatti, sembrano filtrare tutti gli stimoli, le ellissi ed i colpi di scena hitchcockiani. Tanto che Sulla Strada Di Casa risulta un noir atipico, neo-neorealista, distantissimo sia dalle formule all’americana che dai rigorismi d’oltralpe; attento più alle istanze dei singoli personaggi, resi tutti con un’attenzione certosina anche se con pochi tratti, che non all’azione vera e propria (che pure non manca); accostandosi alle modalità da cinema d’autore standard (i tempi della recitazione, gli stessi dialoghi, ecc.) ma non rinunciando, nella seconda parte, alla tensione cruda che non abbandona mai la vicenda sino alla conclusione. Tutto partecipa a fare del film uno spaccato di realtà verosimile, anche quando è il genere ha ad avere la meglio sul testo.
Alla riuscita del film contribuiscono non poco i protagonisti, che peraltro, vista la piccola produzione indipendente, a riprova della credibilità del soggetto, hanno recitato a rimborso: Donatella Finocchiaro, bravissima  nel ruolo della moglie di Alberto, una donna semplice ed ingenua dalla vita agiata ma enormemente vuota; Vinicio Marchioni che, lontano anni luce dal Freddo del Romanzo Criminale televisivo ma anche del filmaker di 20 Sigarette, dà vita ad un personaggio umanissimo, in costante smarrimento, che agisce perlopiù istintivamente mosso da una paura implacabile. Ma è soprattutto un Daniele Liotti in stato di grazia a regalare un’interpretazione realmente straordinaria: intensa, sentita, reale come mai era successo di vedere dal, pur mai sgradevole, protagonista di Cresceranno I Carciofi A Mimongo (ma anche di una pletora di prodotti televisivi di terza). Bravo anche il dardenniano Fabrizio Rongione, bandito al contempo duro e riluttante; minimo sindacale, invece, per Claudia Pandolfi, penalizzata però da un ruolo un po’ superfluo.
Se anche, Corapi, non riesce a sfuggire alla regola non scritta di fare dell’ambiente borghese, l’unico ed universale luogo della narrazione (che è funzionale al racconto nel caso dell’industriale sul lastrico Alberto ma lo è molto meno nel caso di Sergio, personaggio complesso e, nonostante tutto, piuttosto misterioso), è anche vero che riesce a restituire un’Italia che il cinema nostrano di oggi non racconta più adeguatamente: quella delle strade secondarie, dei motel all’americana su statali deserte o di strade provinciali immerse nel verde come dedali di un labirinto d’asfalto. Un Paese ed un paesaggio minori, che la fotografia di Raoul Torresi però contribuisce a rendere vivi ed autentici, riuscendo anche laddove la confezione vagamente televisiva sarebbe potuta risultare penalizzante.

Il Dvd è ottimo per ciò che riguarda l’audio, che riproduce perfettamente il suono in presa diretta della pellicola, e l’ immagine, che è nitida e brillante, ma non contiene alcun extra, se non due trailer poco necessari.

 

Alessio Bosco
Alessio Bosco
Alessio Bosco - Suona, studia storia dell'arte, scrive di musica e cinema.

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