Questa volta Tim Burton non scherza. Scordatevi l’inquietudine rassicurante e naive di Edward mani di forbice, le macabre e allegrissime danze dei pupazzetti di Nightmare before Cristhmas e La sposa Cadavere, il perturbante che si scioglie nei finali morbidi e fragranti come una torta appena sfornata di Big fish e Willy Wonka e la fabbrica del cioccolato.
Il suo adattamento cinematografico del musical di Stephen Sondheim che ha spopolato a Broadway a partire dagli anni ’70, (in realtà la storia del famelico barbiere è apparsa per la prima volta in una piccola pubblicazione narrativa già nel 1846), mette in campo tutti i temi cari alla sua poetica goticheggiante (la diversità che emargina, ma che si fa amare, la morte che sconfina nella vita, e viceversa, la vendetta che non paga etc..) ma senza lasciare le consuete vie di fuga. Qui la vendetta paga, eccome.
Jhonny Deep, un Edward mani di lametta da barbiere, emerge dalla nebbia con un pallore ed una lividezza che avrebbero fatto impallidire-appunto-il suo somigliantissimo collega sforbiciante, del resto in perfetta sintonia con una Londra al carboncino che Dante Ferretti ha ricreato alla perfezione (meritatissimo l’Oscar alla scenografia.) No place like London, recita la prima canzone, sì, perché l’opera più cattiva e fatale di Burton è nientemeno che un musical, il genere per eccellenza fiorito e baldanzoso, dove si saltella qua e là per le strade coinvolgendo tutti nel proprio balletto infinito. Burton invece ammette il canto, anzi, lo adotta a pieno titolo come esige un musical che si rispetti, ma l’unica cosa che fa danzare è la macchina da presa che volteggia elasticamente attorno agli interpreti, anche questo rispettando gli stilemi del genere.
All’inizio la sensazione è che siano tutti impazziti, ma anche qui siamo nella norma, succede nei primi cinque minuti di ogni musical, o almeno, a me è sempre successo. Poi avviene la magia, anche questa declinata alla Burton, che è un maestro nel creare mondi totalmente paradossali e strambi in cui ti senti inevitabilmente a casa. Ma qui c’è poco da star tranquilli, perché come gorgheggia il serafico Deep/Todd : tutti meritano di morire. A differenza di Edward con le forbici che odia le sue protesi perché lo rendono anormale, Todd si sente intero solo dopo che ha ritrovato le sue lame affilate con cui può assumere il ruolo del perfido giustiziere. Rispetto al copione dell’opera teatrale che inserisce la storia del barbiere vendicatore in una più ampia critica della disuguaglianza sociale tra classi alte e basse, Burton incentra tutto sulla vicenda del singolo che, subito un torto, cerca follemente il riscatto, unica sua fonte di soddisfazione e gioia. La colpa si espande, cola come il sangue plasticissimo che vediamo rivolare già dai titoli di testa attraverso tutta la città, rendendo tutti meritevoli di un’ amara punizione.
E presto anche il sangue e le gole sgozzate diventeranno solite come il parlar- cantando,secondo un procedimento di agghiacciante fidelizzazione con il macabro tipico del marchio Burton,qui portato alle estreme conseguenze.
E se nei primi venti minuti vedere le tarme intrufolarsi nei pasticci della signora Lovett ( una straordinaria Helena Bonham Carter, più brava addirittura del sopravvalutato Deep) fa chiaramente schifo, più avanti, quando i londinesi si riversano a frotte nella sua osteria sgranocchiando avidamente i pasticci fatti con la carne dei propri simili, ci si rallegra semplicemente del fatto che l’attività abbia ricominciato a fruttare, e gli apprezzati e cannibalici pasticci fanno quasi gola.
Va detto che i momenti musicali migliori sono quelli in cui la commedia degli equivoci viene trasposta nel duetto canterino, in cui amore ed odio diventano una stessa voce che all’unisono canta cose opposte: la signora Lovett che parla del suo amore sulla spalla di Todd, che a sua volta sciorina dolcezze alle sue amiche lamette, o la sbarbatura del giudice Turpin, in cui Todd fischietta con il suo nemico peggiore, assecondando la sua vanità rivolta a sua figlia, che egli tiene prigioniera.
Gli unici due personaggi che ricordano anche troppo la mielosità dei musical storici sono il giovane marinaio Anthony e Jhoanna, la figlia di Todd, che egli si propone di salvare dalle grinfie del padrino che se la vuole sposare, faccette linde e perfette che si oppongono al grigiore invasivo londinese, gli unici infatti di cui viene suggerita la salvezza, anche se il film finisce prima di sapere se ce la faranno, concentrato com’è sul sangue che invade il grembo di Deep,uccisore involontario della sua stessa moglie.
Le uniche parentesi distanti dal tono cupo dominante sono infatti rivolte ad un tempo che non è quello presente, e cioè il passato tinteggiato di pastello- There was a barber and his wife,she was beautiful…., o l’alternativa a colori viv-acidi della gita in campagna, dove il cielo per la prima volta non è a fondo di secchio, ma striato di celeste, e proseguono nel sogno ad occhi aperti della signora Lovett di un futuro da carnefici felici per lei ed il suo amato vendicatore indomito,con bambino adottato al seguito (sfuggito dalle grinfie di Sacha Baron Cohen-barbiere competitore,altra perla del film.)
Ma Todd non sogna, non vede, il suo sguardo è catatonico, concentrato sulla sua unica certezza:il sangue,il gusto perfido di una gola tagliata, una vendetta che paga ma non vuole risarcire niente.
Anche il suo interessamento per la figlia sopravvissuta ma prigioniera è ambiguo e fuggevole:non fa niente se non attirare il suo padrino con lo scopo di ucciderlo e di provare piacere nel farlo, presto si arrende ad averla perduta per sempre. La sua ira colpisce tutto e tutti, e non risparmia la compare Mrs Lovett, traditrice per amore (ha mentito:sua moglie non è morta,ma è impazzita e vive da stracciona,ulteriore birillo buttato giù,dopo averlo sgozzato,dalla mano-lametta veloce), che finisce gettata nel forno, sprecando il suo grido cremato tra le fiamme,come nella favola dai risvolti orrorifici che ha colorato l’infanzia di tutti: Hansel e Gretel si liberano della strega spingendola con noncuranza nella stufa. L’ innocente crudeltà del favoliere-gore Burton stavolta si fa più accesa.