E’ probabilmente scontato pensare al 3D come ad un’esaltazione della profondità di campo, filmare corpi e oggetti nella relazione tra piani recuperando la forma dinamica della visione e mandando in frantumi la piattezza cinetelevisiva che ci circonda. Nelle sale attrezzate con i nuovi proiettori ci potremmo immaginare versioni reloaded degli Ambersons, della Regle Du Jeu, di Le Mèpris, perdersi tra diaframmi della visione, ostacoli naturali, no trespassing che ci vietano di guardare mentre l’occhio è già oltre. Considerazioni peregrine e assolutamente ludiche, sogni perversi come quello della colorizzazione, ma ci servono per pensare ad un cineasta come Joe Dante, profondo conoscitore dell’arte illusionistica di William Castle, omaggiato dal nostro in più di un’occasione, The Hole incluso. Il 3D per Dante è sicuramente un gioco irrinunciabile, cosi semplice e archeologico come la prima stereoscopia e sufficientemente efficace da permettergli di sperimentare la sua acuminata propensione teorica. The Hole è davvero una voragine del senso puntata verso lo spettatore, un buco nero non dissimile dalla sala cinematografica spaccata in due nel bellissimo Matineè, vortice del visibile dove Dante riesce a mettere insieme tutti gli elementi del suo cinema più astratto; un cinema beninteso, che procede anche dall’animazione (come in parte per Zemeckis) tanto da disseminare il film di forti contrasti tra la bidimensionalità “realistica” del tratto (i disegni di Bruce Dern e quelli di Dan rivelano tracce importanti) l’irrealtà della terza dimensione e l’immagine video, sempre diversa e falsificante rispetto a quella cinematografica, almeno per un cineasta attivo nel momento più fecondo degli anni ’80. Servendosi di uno script di Mark L. Smith molto vicino a certe atmosfere di Stephen King alle prese con i romanzi di formazione spinge la ricerca dell’orrore in un territorio intimo fatto di puro immaginario, dove The Hole diventa veramente uno schermo cinematografico rovesciato, un’immersione metavisiva nell’illusoria profondità del 3D, quella si con un doppio fondo. Al contrario quello che possiamo vedere e immaginare di The Hole ha una forma nera senza fine ne profondità; ad un certo punto, i tre ragazzi calano una videocamera nel buco in un tentativo di filmarne la fine; non otterranno che strane immagini, presagi informi che ci vengono mostrati in versione rigorosamente monodimensionale, in forte contrasto con il viaggio finale di Dan all’interno del buco, un frammento di cinema visionario certamente colto ma vissuto come un momento di esorcismo, un tuffo in una forma dello stupore che ha una valenza quasi metastorica e che possiamo osservare rapiti dal vortice dei piani; storie del cinema.