In molti aspettavano gli esiti di questo esperimento che vede Branagh alle prese con l’universo Marvel. Non ultima la preoccupazione che un talento come il suo, impegnato da sempre nella revisione delle opere del Bardo, una volta inglobato nei dispositivi del genere supereroico, potesse “generare mostri”. Fortunatamente Branagh raccoglie la sfida con la leggerezza tipica di chi è perfettamente consapevole di quel che andrà a svolgere. L’importante è non prendersi troppo sul serio potrebbe essere il motto che descrive il suo approccio a tale materia. Alla base del progetto cinematografico c’è il fumetto di Stan Lee e Jack Kirby (The Mighty Thor, 1962), che trae spunto dagli itinerari della mitologia norrena servendosi di caratteri a cavallo tra il fantasy e la fantascienza. Se in molte saghe Marvel è abitudine narrare le gesta di superuomini, Thor “alza il tiro” e mette in gioco veri e propri dèi. Potrà sembrare un dettaglio ma nella realtà dei fatti scomodare le mitologie è un affare che richiede sempre una certa dose di grazia nel trattamento. Lasciamo agli esegeti del fumetto i bilanci sul passaggio dalla carta alla celluloide, sulle sintesi operate fra le varie serie, sul rispetto o meno dello spirito del prodotto Marvel; quel che invece risulta incontestabile è l’efficacia del film dal punto di vista dell’intrattenimento. Un divertissement scacciapensieri, ma di classe. Gli echi scespiriani si mescolando al sempiterno tema della hýbris – messo in circolazione dai greci – ovvero la tracotanza, il peccato di superbia, l’oltrepassamento del limite; tema che nacque con la figura di Achille. Un Odino, mèmore di Re Lear – legittimato una volta in più sotto questo profilo da un attore scespiriano doc come Hopkins – , troppo frettolosamente pensa di affidare il trono al figlio Thor (Hemsworth), un acerbo ragazzotto colmo di arroganza, privo di saggezza e prudenza, doti necessarie al buon governo. Segue dunque il bando da Asgard; Thor viene scagliato dal padre sulla terra, dove lo attenderanno le prove che lo porteranno alla maturazione. Prima fra tutte l’uscita dall’egotismo. In virtù di questo, il film rivela anche un aspetto formativo, catalizzato ovviamente dai meccanismi ludici, imprescindibili per il genere. All’inizio Thor è la forza bruta senza controllo, il braccio nerboruto senza la mente: solo attraverso la privazione del quid divino egli apprende le sue responsabilità, complice anche l’infatuazione per la terrestre Jane (Portman). Ecco dunque un elemento che troverà grosso apprezzamento presso il pubblico imberbe che vedrà nel supereroe il riflesso della loro forza biologica in cerca di corretto orientamento. Registicamente Branagh svolge un giusto servizio al genere, non ambisce a rivoluzioni stilistiche non richieste. Dalle animazioni delle scene di combattimento ai fondali in CG dei mondi ultraterreni, l’aspetto tecnico è sempre di livello eccellente, e proprio per questo si perdona al regista l’insistenza sulle riprese inclinate e su certi ralenti fuori luogo. Com’era prevedibile, Branagh si ritrova più a suo agio fra le dinamiche di palazzo, con le sue diaboliche congiure, i viscidi tradimenti e le brillanti astuzie, rispetto alle vicende ambientare nel mondo terrestre. Quando l’azione si sposta sulla terra, il regista si “difende” con un chiave situazionale all’insegna del contrasto ironico fra l’eccentricità dell’estraneo e convenzioni umane. Dopotutto, di questi tempi, la mediazione dell’ironia è un elemento oramai necessario per le pellicole ad alto tasso di superomismo, in quanto la seriosità sarebbe un sicuro viatico verso il ridicolo: di questo Branagh ne tiene perfettamente conto. L’inserto dopo i titoli di coda è già il preannuncio per The Avengers, di prossima uscita nel 2012.