Titano CineTour è la sigla di un piccolo carro di Tespi in età post moderna. Un tempo erano teatranti, giocolieri e saltimbanchi a percorrere strade e fermarsi nelle piazze, fuori dai teatri e dai templi del potere. Oggi è il cinema, un certo cinema che nasce da passione individuale, vive di luce (e mezzi) propri e trova piazze virtuali in sale un tempo dette d’essai, oggi frequentate da cinefili affezionati e gestite da qualcuno che ancora crede nelle belle idee per cui si muore.
Un Festival Internazionale è nato nel 2012 nella Repubblica di San Marino per dare visibilità alle opere prime e seconde di giovani autori emergenti che non hanno trovato spazio nella distribuzione italiana. Una mini-rassegna di corti e lungometraggi selezionati gira per l’Italia da febbraio 2013 e le tappe sono state Firenze, Roma, Milano, Venezia, Vicenza, Treviso. Il pubblico vota e il premio per il miglior film sarà consegnato il 22 e 23 maggio al Palazzo del Cinema del Palace Hotel di Serravalle presso la Repubblica di San Marino
“Le sale cinematografiche – ha detto il direttore artistico Romeo Conte – che hanno aderito a questo progetto sono il motore di tutto il tour. Queste sale hanno un loro circuito di pubblico fidelizzato negli anni con i film che di stagione in stagione vengono proiettati, pertanto sono le ultime cattedrali del cinema che nel nostro immaginario rappresentano il gusto e la ricerca dell’arte espressiva cinematografica“.
La prossima tappa del Titano Cinetour, quella di chiusura, è prevista per il 22 e il 23 maggio presso il Palazzo Del Cinema di San Marino
Nella sezione corti c’è un cinema un po’ commosso (Tiger boy) un po’ sornione (Perché?), raffinato e sconcertante (Pizza Verdi), sempre a forte carica empatica sul pubblico. Tiger boy sferra dritto un pugno in faccia e poi ti lascia lì a pensare. Non sai cosa aspettarti, sulla locandina c’è la testa di un bambino con la maschera del Tigre, un campione di wrestling. Il Tigre è il mito di Matteo, nove anni, taciturno, fisico da torello, occhi seri (solo quelli si vedono sotto la maschera). Matteo non toglie la maschera neanche per dormire. Non c’è un padre in giro, la mamma è indaffarata, nevrotizzata ma buona, lo sgrida e dopo un po’ lo abbraccia. Lui, zitto, continua, non la toglie, non risponde ai perché. La tiene in classe e fuori, è una corazza, un elmo. Ha raccolto sei euro per andare all’ultimo incontro dell’uomo tigre, memorabile, l’avversario è un’ enorme massa di muscoli che sta per avere la meglio, ma l’uomo tigre ha la mossa segreta, e Matteo è lì a tifare e prender nota. Quella mossa gli servirà, di lì a poco, per un finale a sorpresa che strappa l’applauso caloroso ad una platea completamente galvanizzata. Una storia di oggi, di sconfortante attualità. Con un lieto fine, o quasi.
Con Perché? si passa nel regno della parodia, è un parlare di cinema italiano e delle sue sorti. non magnifiche e nient’affatto progressive, con la finezza sovversiva della comicità. Alle spalle di Ciarrapico c’è il successo di Boris, serie televisiva cult sul mondo della soap opera italiana. Qui si procede all’affondo con uno spassoso testa a testa di 7 minuti fra un produttore (Giorgio Colangeli) dalla grossolana sicurezza di sé e dei suoi mezzi, summa di uno stile burino molto italian way of life, e un giovane regista senza risorse, che tira a campare come cameriere in pizzeria e vorrebbe mantenere la sua dignità non scendendo a troppi compromessi. Un remake di Umberto D è l’idea del produttore: “…oggi i remake so’ de moda e ce mettemo pure ‘na bella clip sulla Val d’Aosta dove c’ho contatti. Lo famo in 3D – ride soddisfatto e sborone– Umberto 3D, co’ Beppe Fiorello protagonista”. Cosa risponderà il ragazzo? Sì. E chissà perché? Schizzato, lancinante, definitivo.
Pizza Verdi è una strana storia di pizza a domicilio a New York. Girato da Gary Nadeau, già sceneggiatore di Coppola per Jack (‘96), in un bianco e nero geometrico, optical, linee a perpendicolo e superfici levigate, specchianti, in un interno con veduta su Central Park, lavora con eleganza sulla platea spiazzandola poco per volta, fino al ribaltone finale. Un orologio di valore abbandonato sul tavolo del salotto sopra un mucchietto di dollari, particolari di arredo di alto design, pezzi d’arte alle pareti, creano un’atmosfera asettica vagamente inquietante. Quando entra un nero afroamericano (Norm Lewis) con una pizza da asporto in mano chiedendo: “C’è nessuno?”, cominciamo a sentirci minacciati, scatta immediato il processo di mimesi. All’improvviso sentiamo una voce, è nel registro degli acuti di finezza eccelsa. Marie Zamora, cantante di formazione classica e ballerina, jeans e T-Shirt, si muove da una stanza all’altra cantando Caro nome dal Rigoletto di Verdi. Lo spiazzamento comincia, il nero la segue con passo felpato, in mano il coltello preso in cucina. Rottura dell’equilibrio iniziale, il bianco e il nero si ribaltano, il finale è tanto inaspettato quanto sentire un’aria verdiana mentre la pizza si fredda sul tavolo. Ma, non dimentichiamo, ” a New York non tutto è ciò che sembra.” (continua nella pagina successiva, i lungometraggi…)