martedì, Novembre 5, 2024

Torino Film Festival 29 – Festa Mobile – Into the Abyss di Werner Herzog (Germania – Canada, 2011)

Primo di quattro documentari sulla pena di morte commissionati a Herzog da Discovery Channel, Into the Abyss rappresenta l’incipit di un ampio discorso da tempo accarezzato dal regista tedesco, perfettamente in linea con la sua indagine sulle estremità dell’essere umano e ideale appiglio per sondare i luoghi dell’anima da cui sgorga la violenza più insensata e l’assurdo di una società civile che legifera per la sopraffazione ultima di un individuo. L’abisso su cui Herzog, con il consueto incedere tra empatia e entomologia, ci tiene sospesi, per un sottilissimo lembo di discrezione, è quello del massacro di  Conroe, Texas, dove nel 2000 i diciottenni Micheal Perry e Jason Burkett hanno ucciso a sangue freddo tre persone col solo scopo di farsi un giro su una bella Camaro rossa. Il primo verrà giustiziato nel 2010, mentre il secondo sarà salvato per 2 voti di giuria da una toccante testimonianza del padre, ergastolano egli stesso. Le interviste condotte tra il braccio della morte, i luoghi del delitto, quelli dell’esecuzione e i sobborghi di Conroe, dilagano immediatamente su temi ben più ampi di quello già enorme della pena di morte: le origini delle nostre peggiori azioni, l’ardere inestinguibile del dolore, la vita e l’amore che sorgono imprevedibilmente dramma, e ovviamente, la fredda e serena impassibilità della natura di fronte alla tragedia. Muovendosi con spavalda naturalezza tra le piaghe di un tessuto sociale sorprendentemente a brandelli, tra misticismi deviati, analfabetismo, dipendenze e miserie transgenerazionali, Herzog si concentra a fiammate sulla pacidità del lago che ha accolto i cadaveri, sull’afflato di vita degli scoiattoli che tanto emoziona il reverendo della prigione, sulla sfrontatezza di un albero che cresce tra il telaio della Camaro in disuso. Alle interviste si alterna l’immancabile commento fuori campo e un larghissimo uso del materiale di repertorio dell’indagine, mostrato sempre ad un palmo dal punto di incandescenza tra la legittimità dell’indagine e la morbosità del sensazionalismo. Il racconto che emerge dal montato di Joe Bini (curatore anche delle musiche) scorre sul filo di una tensione emotiva altissima, alimentata da una gestione vicina all’azzardo del dolore degli intervistati (messi al muro da giudizi e domande di glaciale schiettezza) e dalla studiatissima incombenza scenica di sbarre, parlatoi, foto delle vittime e attrezzature da braccio della morte. Palese, dai resoconti di risse, processi e burrascosi precedenti famigliari, emerge l’arbitrarietà del destino di vittime e carnefici, avvocati e reverendi, poliziotti e boia, travolti dall’orrore delle proprie routine quotidiane e salvati da un ritiro misantropo nella fede, nella pensione, nella vendetta, nella rassegnazione.

Alfonso Mastrantonio
Alfonso Mastrantonio
Alfonso Mastrantonio, prodotto dell'annata '85, scrive di cinema sul web dai tempi dei modem 56k. Nella vita si è messo in testa di fare cose che gli piacciano, quindi si è laureato in Linguaggi dei Media, specializzato in Cinema e crede ancora di poterci tirare fuori un lavoro. Vive a Milano, si occupa di nuovi media e, finchè lo fanno entrare, frequenta selezioni e giurie di festival cinematografici.

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