venerdì, Novembre 22, 2024

Traumfabrik Kabul di Sebastian Heidinger (Germania, 2011)

“Io amo il cinema, perché è un insegnamento accessibile a tutti. Ignoranti e acculturati, tutti capiscono il cinema allo stesso modo. È per questo che ho iniziato a fare film.” Saba Sahar

Un’eroina come tante, di quelle che svolgono quotidianamente la loro battaglia per i diritti civili. Questa è Saba Sahar, regista afghana di film che denunciano il ruolo subalterno della donna nella società afghana. Un’eroina come tante, una che senza assurgere a leader di alcunché opera sulla cultura popolare in modo intelligente e accessibile, con ironia e rabbia, senza clamore né velleità artistiche. È nella riservatezza e nel pragmatismo che vive e lavora Sahar, poliziotta e madre di famiglia, donna severa ma fragile, elemento integrato ma corrosivo di un sistema sbagliato a livello culturale prima ancora che politico.
Ed è proprio sulla cultura che le opere della regista afghana operano, a mani nude, in maniera talvolta rudimentale ma incredibilmente efficace e argomentata. Niente è migliore del registro comico per svelare le ipocrisie e le incongruenze del proprio contesto sociale di appartenenza, senza pertanto venire bollati come eversivi. Sebastian Heidinger, documentarista tedesco, segue Saba Sahar da vicino, con close-up all’interno del furgone che pagano un forte debito al cinema di Kiarostami. Il film ha un duplice scopo: da una parte, quello pratico e extra-cinematografico di aiutare la regista afghana nella ricerca di finanziamenti per le sue opere (come la scena dell’incontro col produttore tedesco ci mostra, è difficile, economicamente, finanziare un’opera che avrà una distribuzione molto accidentata). Dall’altro, quello di delineare un ritratto della regista nelle sue componenti artistiche, sociali e private. Ed è qui che i piani si sovrappongono, si intrecciano, comunicano, nei limiti della censura e soprattutto dell’autocensura. Saba Sahar manifesta, all’interno del documentario, una netta chiusura nei confronti della sua vita privata: eppure, il suo vissuto, i suoi sentimenti, i suoi dolori, sono tutti accennati, lasciati intuire, tramite myse-en-abyme necessarie, velate. Traumfabrik Kabul è un gioco di vedo – non vedo che si fa tanto più rivelatore quanto più è teso: il fascismo escludente del racconto filmico non è altro che un eco di quello sociale afghano. Traumfabrik Kabul è uno scontro tra due esigenze uguali e di segno opposto, quella di Saba Sahar di nascondere e quella di Sebastian Heidinger di mostrare.

Raffaele Pavoni
Raffaele Pavoni
Raffaele Pavoni (Piombino - LI, 15/04/1987) si è laureato in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo nel 2008, e ha ottenuto il diploma CESCOT di Tecnico Qualificato Documentarista nel 2009. Ha all'attivo documentari, cortometraggi, clip promozionali, collaborazioni con emittenti televisive e studi fotografici, partecipazioni a festival. Ha collaborato e collabora per varie testate web. Vive e lavora a Firenze.

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