lunedì, Dicembre 23, 2024

Tutti per uno di Romain Goupil: la recensione

Di fronte alle sconnessioni di un presente malandato, nella letteratura e nel cinema sono sempre fiorite le utopie in negativo, che rivelano le disfunzioni del proprio tempo proiettandole (spesso in versione grottescamente amplificata) in un ipotetico futuro dagli scenari foschi. Se in materia Orwell ha fatto certamente scuola, Tutti per uno (molto più intrigante il titolo originale, Les Mains en l’air), il nuovo film di Romain Goupil si distanzia di qualche passo dal modello per porre sotto la lente di ingrandimento la nostra paludosa attualità. Così, in un lontano 2067, sorta di nuova età della ragione, da cui non possiamo che sentirci irrimediabilmente distanti, gli ormai invecchiati Milana e Blaise rievocano i giorni della loro infanzia parigina, ritornando con la memoria a quel 2009 in cui un presidente, di cui nessuno ricorda più nemmeno il nome, e una società indifferenti guardavano agli immigrati, ai poveri, ai bambini con gelida noncuranza. Prendendo le distanze per farci prendere coscienza, Goupil mette in scena con rara delicatezza le scorribande di un gruppo di bambini, figli di immigrati e figli di parigini, nei giorni del loro apprendistato alla vita, fra giochi, fughe e alleanze contro la miopia di una burocrazia intollerante. Se lo sguardo del regista ricorda quello del Truffaut de Gli anni in tasca, con la cinepresa ad altezza bambino, è un vibrante impegno politico sociale ad animare una pellicola che oscilla con grazia  fra militanza e apologo. Nella Parigi contemporanea, Milana, Blaise e i loro compagni trascorrono le giornate fra compiti, scampagnate e furti di caramelle, finché Youssef, uno dei loro compagni di giochi, viene bruscamente rimpatriato. Dinanzi alla minaccia che Milana venga rispedita in Cecenia, i compagni sceglieranno di mobilitarsi, sostenuti da Cendrine (Valeria Bruni Tedeschi), madre inflessibilmente idealista, che non esiterà a mettere a repentaglio la serenità familiare per affrontare a viso aperto poliziotti, rappresentanti del governo e genitori indecisi. Se per una volta sono gli adulti, immigrati o parigini, a rimanere sullo sfondo, al centro della scena c’è un gruppo di bambini invariabilmente uniti e pronti a sfidare ogni forma di autorità, con la naturalezza di chi ancora non conosce fanatismi e chiusure. Così, quando, di fronte all’invasività delle forze dell’ordine, la casa di Blaise e il cortile della scuola non saranno più in grado di proteggere Milana, i bambini, ben forniti di patatine e caramelle, sceglieranno di nascondersi in un improbabile rifugio, da cui osserveranno divertiti il caotico disorientamento del mondo adulto e i goffi tentativi di emulazione di bande solidali. Naturalmente la fuga non durerà a lungo e, dopo qualche giorno, i ragazzi saranno costretti a riemergere dal loro covo (con le mani in alto appunto, in una scena al rallentatore che ha il sapore del documentario sociale), ma forse il loro innocente ricatto non sarà stato vano. Alla fine però, mentre intorno si sentono gli echi delle più disparate posizioni (dagli scettici ai legalisti, dagli indifferenti agli arrabbiati), si percepisce chiaramente l’amarezza e lo sgomento del regista di fronte alla necessità di una battaglia sociale di cui i bambini non possono essere altro che vittime o elementi strumentali e che, forse, soltanto in un futuro illuminato, potrà finalmente perdere la propria ragion d’essere.

Sofia Bonicalzi
Sofia Bonicalzi
Sofia Bonicalzi è nata a Milano nel 1987. Laureatasi in filosofia nel 2009 è da sempre grande appassionata di cinema e di letteratura. Dal 2010, in seguito alla partecipazione a workshop e seminari, collabora con alcune testate on line.

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