Si rimane senza fiato dopo l’ultima immagine del nuovo film di Francesca Comencini, come se volesse togliercelo con una cesura fortissima sulle note di Johnny And Mary di Robert Palmer riletta dai Notwist, in quello che è forse il suo film più vicino all’intimità dei personaggi, seguiti attraverso la deriva di un percorso già stabilito; Un Giorno speciale si apre su un panorama televisivo, elettrodomestici della vita quotidiana tagliati attraverso inquadrature catturate a distanza, osservati da un punto di vista marginale e allo stesso tempo documentale, quasi facessero parte dell’architettura quotidiana della città. Una pervasività più sottile, diversa dalla visione complessa dell’ultimo film di Marco Bellocchio sull’ipertrofia dei media e a poco a poco legata al sistema di relazioni intimo di due ragazzi giovanissimi. Marco ha un nuovo lavoro come autista di un potente onorevole; Gina, il suo primo cliente, è una ragazza della periferia Romana che ha questo insopprimibile desiderio di far l’attrice, dovrà vedere l’onorevole per un appuntamento concordato dalla madre, lontana parente del politico, e sarà per questo scortata da Marco in un viaggio che assumerà a poco a poco i contorni di un tempo intimo ritrovato; l’appuntamento viene infatti costantemente rimandato durante il corso della giornata e la Comencini insiste su questa sospensione riempiendo qualcosa che non arriva mai con il mondo osservato dai due ragazzi, una realtà disvelata con quell’attenzione al gesto minimo dei personaggi in relazione all’ambiente, quasi un documento difficile da cogliere, che nel cinema della regista Romana irrompe sempre come un’epifania sorprendente in quell’equilibrio difficile tra reale e finzione, difficile evidentemente per altro cinema italiano. Un giorno speciale, proprio per questa sua deambulazione improvvisata, che mette sullo sfondo come fosse un brutto sogno l’abiezione morale di un paese, si muove in modo fiero cercando quello spazio bianco della quotidianità come unica ancora di salvezza alla banalità del male. L’incontro con l’onorevole si svolgerà secondo copione, spegnendo quella libertà di scoprirsi in una giornata imprevista che la Comencini filma con estrema sincerità, rovesciando quel cinema formato Moccia in una forma umorale, ludica, generosa. Senza la CGIL ad offrire il fianco per una chiusura forse troppo carica di significato come accadeva nel comunque molto bello Mi Piace Lavorare, le immagini che sospendono l’ultimo film della Comencini sono ancora più dure e meno concilianti, mentre Marco sembra aver acquisito un’improvvisa consapevolezza politica espressa attraverso un gesto estremo che lo porterà a rifiutare il suo lavoro, l’occhio della Comenicini osserverà dall’interno quella finestra televisiva spiata dall’esterno ad inizio film e qui aperta su un circo dell’orrore, questa volta dentro lo spazio intimo di Maria.