Home festival Venezia 64: Blade Runner – the final cut // Ridley Scott

Venezia 64: Blade Runner – the final cut // Ridley Scott

Making a film is like going to war. You’ve heard that one, right? One of the oldest expressions in the book. Yet making BR validated that cliché – every day, I felt as if I were engaged in an unprecedented military action.

Ridley Scott 1982

Se c’è un tempo fuori luogo nel Blade Runner del 1982 è il futuro
Almeno nella versione lineare, semmai come inversione perversa dove regressione ed evoluzione si avvitano. Futuro anteriore in senso letterale, secondo lo schema di Bellamy (looking backward), sul set del Falcone Maltese e del Grande Sonno.
L’idea stessa di una versione “Originale” di Blade Runner (una versione “Vera”, più vera evidentemente del già discutibile Director’s Cut confezionato per il decennale) è teoricamente spassosa.

C’è da augurarsi che con quest’ultima riscrittura Ridley si sia dato pace e che per il trentennale non spunti una ulteriore autentica definitiva che trasformi, dickianamente, questo taglio finale in una penultima verità. C’è da augurarsi inoltre che questa pace non sia dei sensi.

Che la guerra sia finalmente finita per Ridley? La guerra di addomesticamento dei segni ingaggiata all’epoca col corpo di un film che per sua (s)natura scappava da tutte le parti. Un addomesticamento allora scongiurato (almeno in parte) dal mai abbastanza celebrato “empirismo” (davvero paradossalmente eretico) della macchina produttiva degli studios con i suoi screening test, la sua logica utilitaristica e le sue dinamiche autoritarie contro il dispotismo dell’autore.

Allora fu grazie a quel conflitto di poteri (oggi rimosso – per principio immagino – ed ecco il proliferare di versioni “originali”) se almeno un po’ della natura intrinsecamente mostruosa del film sopravvisse…a cominciare dal temibile happy ending, cut and pasted a forza dalla periferia dell’Overlook Hotel.
Se solo potessi vedere quello che ho visto con i tuoi occhi. Quanto lavoro di sutura occorre per ricucire questa ferita, disinnescare quest’ordigno semantico?

25 anni dopo. Cioè quando? Nel 2032? Può darsi che oggi Scott voglia additare senza remore il futuro attraverso la sua creatura, recuperare un visione utopica/distopica, diritta e profonda. Rifare l’orlo al film. Se è così, auguri.
Certo è che il Blade Runner del 1982 nasceva 26 anni dopo Minority Report e 24 anni dopo Vertigo. Memoria impossibile 1, 2 e 3. Eterotopia involontaria. Spasmo oculare. Tic ideologico. Io sono vivo e voi siete morti ci dice il cyborg (Dick, Haraway etc).

Era allora un film-replicante, una re-visione ambigua, allo stesso tempo stringente e vaga, totalitaria e parziale, deficiente (capita ai revisionismi di esserlo) ma appunto per questo, ancora dinamica e vitale (di quella flebile eppure vibrante vivacità che si addice ai sopravvissuti, a quelli che ritornano) del Noir (non un noir qualsiasi o uno specifico), mitica zona di guerra intestina nel corpo del cinema di 40 anni prima. Quando appunto le immagini-ricordo piovevano a grappoli sul tessuto narrativo e facevano vittime ma anche liberavano da certe dittature.

E liberavano fantasmi, morti viventi, ibridità.

Scott e il suo cast davvero magniificamente spettrale (Daryl Hannah!!!) ricordano un po’ quei reduci che tornati dal fronte, per curare le ferite dell’anima raccontano gli orrori della guerra nelle conferenze pubbliche. Specie quelle del senza se e senza ma (che, confessati i peccati, promettono miracolose guarigioni). Senza ambiguità perché la guerra è male e la pace è bene. Ci mancherebbe. Tutto deve tornare – e dunque nulla torna ancora (?). Bando allo spurio e all’irriconoscibile – al nuovo? al (dis)senso? Insomma che il figlio sia stato finalmente riconosciuto (?). Non c’è male per un film sui replicanti. Perché è ancora un film sui replicanti vero?

Solo la morte dell’eroe è uno spettacolo; e solo essa è utile. I registi-martiri dunque per autodecisione, si trovano sempre, stilisticamente, sulla linea del fuoco: ossia sul fronte delle trasgressioni linguistiche. A furia di provocare il codice (ossia il mondo che ne è utente), a furia di esporsi, essi finiscono con l’ottenere ciò che aggressivamente vogliono: essere feriti e uccisi con le armi che essi stessi offrono al nemico. E’ su tale fronte che essi realizzano la loro “libertà” – quella di contraddire fino all’estrema conseguenza la norma della conservazione…

Pasolini, Empirismo Eretico

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