Home Venezia-65 fuori concorso venezia 65 VENEZIA 65 – 35 Shots of Rhums – Fuori Concorso

VENEZIA 65 – 35 Shots of Rhums – Fuori Concorso

Non è meno vicino alla complessità degli affetti lo sguardo del nuovo film di Claire Denis e se la durezza di Trouble Everyday penetrava l’ambiguità del rapporto amoroso nelle sue pulsioni più oscure, la presenza della morte e della dissoluzione attraversa tutto 35 shots of Rhums nel flusso naturale di gesti, nella presenza degli oggetti e nella mobilità delle azioni. Quella di cui condividiamo i movimenti è’ la famiglia di Leon, vedovo macchinista di treni, oppure quella che parte dal cuore e dai desideri della figlia Josephine, che nella difficoltà del non detto e nella forza sempre più rara di riuscire a filmarlo, carica di un senso sempre nuovo l’amore verso il padre? Potremmo utilizzare un vocabolario ristretto, parole inadatte come “disfunzionale” o “allargato” per parlare del nucleo di persone che attraversano e vengono attraversate in 35 shots of Rum solo a patto di assumerne una valenza visionaria. E’ la deriva, un libero e naturale deambulare che genera la visione; la morte fa parte di questa scoperta dello spazio, e la si coglie al margine dello schermo, nei momenti in cui l’inquadratura fa i conti con il vuoto. Emerge un momento di cinema molto bello nella parte centrale dell’ultimo film di Claire Denis ed è quello che riunisce una famiglia impossibile nel tentativo di assistere ad un concerto. Leòn e Josephine cedono alle premure di Gabrielle, madre in-naturale, sguardo vigile e affettuoso che viene tenuto a distanza di sicurezza; conosce la libertà e la pratica nel suo lavoro di Tassista, per quella sera sarà lei a portarli tutti quanti verso questa musica che non sentiremo per come si poteva prevedere. Si unisce Noè, il ragazzo di Josephine, partono e il viaggio subisce piccole mutazioni, imprevisti che nella loro frequenza cambiano i risultati e rendono il percorso vicino alla loro esperienza piuttosto che ad uno schema narrativo. Il corteggiatore di Josephine che inaspettato porta dei fiori e insinua il dubbio nei gesti e nel volto di Noè, il Taxi di Gabrielle che resta in panne, una pioggia torrenziale, il concerto che salta e un bar semichiuso che si trasforma in un luogo di accoglienza, cosi estraneo e a poco a poco cosi vicino, familiare, da vivere senza più paura; un piccolo spazio dove Claire Denis filma con apparente leggerezza e semplicità una sequenza che si affida alla complessa libertà degli sguardi, alla forza dei gesti come vero propellente del racconto e alla capacità di servirsi degli oggetti come elementi dalla presenza invisible, impalpabile, parti del discorso che dall’emozione portano dritti alla forza connettiva dell’occhio; perchè il cinema intimamente Francese di Claire Denis si sviluppa attraverso una libertà apolide che non ha semplicemente a che fare con le origini della regista, ma con il coraggio di fare a meno delle lusinghe del montaggio come se rappresentasse un dispositivo di limitazione della forza eiaculatrice dell’occhio. L’invisibile risiede anche e soprattutto in queste immagini che riescono a costruire un racconto polifonico senza il peso ingombrante delle regole che dovrebbero schematizzarne l’armonia. La morte, quando arriva, ha anche il peso di un gatto di 17 anni che muore nel sonno, con una partecipazione emotiva che abbiamo fatto nostra come esperienza dell’occhio insieme a questi corpi persi nella loro dolce deriva notturna, ci sembra che dorma; Noè lo prende e lo mette in un sacco; lo spazio e il modo di percepirlo cambia, “Niente Cerimonie”, dice Noè infilando nel sacco anche una piccola paperella di gomma; è un piccolo crudele movimento che cogliamo come parte del vivere.

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