venerdì, Novembre 22, 2024

Venezia 66 – The Road – di John Hillcoat (Usa 2009)

theroad1Nel momento di massimo orrore, mentre Viggo Mortensen fugge insieme al figlio dall’attacco di un gruppo di antropofagi, quello che resta di una natura ferita mostra un volto terribile e oscuro, tanto da far coincidere lo stupore con la minaccia; gli alberi cominciano a sradicarsi animati di vita propria, rischiando di seppellire l’ultima resistenza del genere umano alla morte della ragione, un’immagine maestosa e anti-romantica, terribile e allo stesso tempo seducente, quasi che la purezza filosofica di Malick venisse distillata prelevandone solamente gli elementi più crudeli e neri. Elaborato a partire da un romanzo di Cormac McCarthy, The Road è un film molto vicino al cinema pittorico di John Hillcoat, se il notevole The Proposition dipingeva con il sangue e tonalità accecanti il deserto Australiano nel momento della sua mutazione “civile”, The Road è attraversato da colori grigi come la cenere, residui di una civiltà nel momento del suo riassorbimento nell’abisso amorale della natura. La trasformazione, stato di passaggio rituale costantemente sottolineato, non è visibile solo quando luce e ombra duellano in modo doloroso, ma attraversa volti, gesti, azioni, in un film che solo apparentemente sembrerebbe riaffermare un reale che ha cancellato la maternità. Charlize Theron rifiuta il parto sin dall’inizio, in un frammento che ci viene mostrato come un momento di orrore senza fine, un rifiuto della vita che non possiamo fare a meno di condividere; scomparirà poco dopo verso la parte più oscura della notte in una sequenza straordinaria dove tutto quello che possiamo vedere è semplicemente pulviscolo colpito lievemente dalla luce, ultime tracce di un incendio, il corpo di Charlize che si allontana. La Theron attraversa in realtà l’intero film, non solo per la sorprendente somiglianza somatica con Kodi Smit-McPhee, volto che Hillcoat indaga con lo stupore che attraversa i vangeli apocrifi, immersi in quella luce non ancora del tutto escatologica, capaci di incontrare il bene e il male come immagine prodotta dallo stesso occhio, ma è presente in varie forme del ricordo di Mortensen, assimilata agli stati più ambigui della natura, capace di proteggerli e di tradirli. Dal Western Hillcoat, come in The Proposition, prende l’anima più oscura e antropologica, quella disperata del cinema di Monte Hellman e quella ambigua delle Badlands di Malick illuminate da orrore e purezza, ma con una capacità di mutare costantemente l’oggetto dello stupore; speranza e morte sono sullo stesso livello, e l’occhio di Hillcoat si astrae da qualsiasi forma salvifica, evitando pericolosi giudizi. La parte conclusiva, a torto considerata da certa stampa attenta ai contenuti, come un rattoppo consolatorio, è un’immagine terribile, assolutamente sospesa, tocca a chi guarda scorgere speranza e fiducia, è anche possibile farsi riassorbire dal nero.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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