A poche ore dalla premiazione possiamo già raccontare la nostra Venezia, che per Straneillusioni / Indie-eye Network è cresciuta piano piano come una delle edizioni più coraggiose, fuori margine e capaci di leggere anche in modo innovativo la complessità dei formati non convenzionali come una straordinaria esperienza visionaria. Sono di qualche ora fa le discrepanze polemiche che ha sollevato Marco Mueller in un colloquio con la stampa web tradotto in un’intervista rilasciata a Cineclandestino.it (leggibile integralmente da questa parte) dove è fuoriuscita tutta l’energia e tutto l’amore che è stato necessario anche per mettere in piedi una sezione ricchissima e “difficile” da vedere (in ogni senso) come Orizzonti; lo dice chiaramente Mueller nell’intervista che è rimbalzata un po’ ovunque: “’
l’anno prossimo non cambieremo certo formula per quel che riguarda la sezione Orizzonti, ma se leggo su siti e blog vedo che l’interesse suscitato è quello che ci aspettavamo, mentre osservando la stampa quotidiana rimango sbalordito dal fatto che non ci si trovino neanche due righe
e ancora……
i più grossi gruppi di produzione e distribuzione d’esercizio, una grossa fetta dell’informazione, hanno detto “non si possono più buttare i film in pasto a tutti questi recensori giovanili che magari tributano un’accoglienza terribile ai film, quindi ci vuole la proiezione in sala Perla prima di quella al PalaGalileo”. Ci è stata imposta questa cosa! Dopo aver fatto parecchie settimane di discussione su questo siamo arrivati a una situazione che io reputo aberrante, per la quale l’anno scorso Paolo Mereghetti e Goffredo Fofi (non ho timore a fare i loro nomi, perché sono stati visti più volte) alle proiezioni per la stampa quotidiana fischiavano i film di Herzog
Questa spaccatura tra una critica di potere che cerca di imporre una norma per affrontare la visione e la rutilante vitalità della rete è chiara anche nella percezione apolide che si è potuta sperimentare durante la crescita dei film selezionati per il concorso, un palinsesto tra i più radicali a mio avviso, capace finalmente di indignare e di far discutere, perchè in qualsiasi modo la si pensi, Vincent Gallo (che ha creato una civile e stimolante spaccatura anche nel nostro piccolo nucleo Costituito da Michele Faggi, Alfonso Mastrantonio e Caterina Liverani, per il momento, per quanto riguarda Promises Written in Water, rappresentato dalla metà a cui non è piaciuto il film) Sofia Coppola con Somewhere (altra possibile e stimolante spaccatura) Monte Hellman con il bellissimo Road to Nowhere (che si, è il preferito per chi scrive) Athina Rachel Tsangari con il vitalissimo Atenberg, Kelly Reichardt con la sua opera più bella, Meek’s Cutoff, Mario Martone con la sua fluviale e anti-televisiva (a dispetto di quello che si è letto) visione sulla storia in Noi Credevamo, il cinema nomade e boxante di Jerzy Skolimowski con un’opera straordinaria come Essential Killing , la rivelazione Wang Bing con il Fossato e ancora un troppo poco compreso (purtroppo) Kechiche in lotta con il gelo dell’antropologia moderna nel potente Venus Noire, dimostrano il coraggio di guardare oltre le immagini, re-inventando spesso uno sguardo che punta verso il vuoto e il deserto, anelito verso un punto cieco che è anche capacità di ricrearsi un’immagine nell’ipertrofia degli schermi e dei formati che ci troviamo puntati addosso ogni giorno; ecco questo deserto ricco di visioni ci è sembrato uno degli elementi più sconvolgenti di questa mostra (Reichardt, Hellman, Tsangari, Skolimowski ma anche Paul Morrisey e uno straordinario Scimeca con Malavoglia nella sezione Orizzonti).
E ancora, fuori dalla selezione ufficiale, una serie di opere estreme e importantissime nel forzare i limiti del linguaggio tutte contenute in una sezione Orizzonti tra le più belle degli ultimi anni, mi riferisco ad opere come La Belle Endormie di Catherine Breillat, l’incerto ma vitalissimo Guest di Jose Luis Guerin, il potentissimo ed estremo Cold Fish di Sion Sono accompagnati dall’allineamento con una serie di corti, medi, formati eccentrici, che in parte ci siamo persi e che in parte abbiamo scoperto come il bellissimo il Capo di Yuri Ancarani, il greco Casus Belli di Yorgos Zois. Una traccia personale è quella di Venezia 67 in 3Dcon la scelta di opere davvero fuori norma per una tecnologia che è ancora a metà tra una diavoleria per accumulare soldi (per parafrasare il metodismo di John Carpenter) e uno stimolo che deve ancora essere colto, è un territorio che ci appassiona da tempo (ne abbiamo parlato appronditamente lavorando su Toy Story 3D, Avatar, Up….) e che nella selezione Veneziana ci è sembrato sorprendente nell’andare a scovare intuizioni che potrebbero rappresentare già la prossima frontiera come nei sogni di Jasper Sharp, mi riferisco agli imperfetti ma per questo motivo, innovativi The Child’s Eye di Oxide Pang e Shock Labyrinth di Takashi Shimizu di cui dobbiamo ancora scrivere, potenti riduzioni dello spazio scopico alla libera profondità di campo, in totale controtendenza con un 3D che sbatte ancora in faccia i tagli di un montaggio classico neutralizzando la possibilità di correrci liberi; su questa linea il davvero sorprendente All Inclusive di David Zamagni e Nadia Ranocchi (di cui presto parleremo) che è un esperimento radicale sulle possibilità della visione stereoscopica, un film dronico, quasi ambient nel suo sfruttare il piano sequenza in modo esplorativo, aprendo in una sola inquadratura non una ma più profondità possibili del campo visivo; come quelle che si sono aperte in questa straordinaria edizione della mostra. Grazie.